sabato 22 ottobre 2016

NERUDA

Neruda di Pablo Larraìn
con Gael Garcia Bernal, Alfredo Castro, Pablo Derqui
Argentina, Cile, Spagna, Francia 2016
genere, drammatico
durata: 107' 



Cile, 1948. Il governo di Gabriel Gonzalez Videla, eletto grazie ai voti della sinistra, sceglie di abbracciare la politica statunitense e di condannare il comunismo alla clandestinità. Pablo Neruda, poeta, senatore e massima personalità artistica del Paese, avversa decisamente questa decisione, al punto da diventare il principale nemico dello Stato. In accordo con il partito comunista, Neruda sceglie l'esilio anziché il carcere, ma per riuscire a fuggire deve fare i conti con Oscar Peluchonneau, l'ispettore di polizia sguinzagliato contro di lui. Ogni possibile timore sull'approccio di Pablo Larrain alla materia scottante che riguarda il suo celebre omonimo, il poeta Neruda, risulta totalmente privo di fondamento. Il crudo e nozionistico realismo non viene mai preso in considerazione, a dispetto del laconico titolo che si limita al cognome del protagonista. La prima e folgorante sequenza è già indicativa. Con un interessante gioco di angolazioni dell'inquadratura e di sfruttamento degli spazi, il regista illustra la capacità oratoria di Neruda e l'unione di invidia e risentimento verso di lui che monta presso i suoi nemici. Anima e voce dello spirito identitario cileno, Pablo Neruda è come se preludesse, con la sua poesia di ribellione e di intenso amore per la vita, alle vicende tragiche, future per lui ma passate per Larrain, di un popolo glorioso e insieme macchiato dall'infamia.



Ripensando alla filmografia del regista cileno, Neruda diviene spirito guida della precedente trilogia: il migliore rappresentante di quel peculiare modo di intendere la vita che è proprio della gente andina. E anche su questa sua natura di primus inter pares anche tra i rivoluzionari, la scintillante sceneggiatura di Guillermo Calderón scaglia dardi avvelenati, pregni del senso di amarezza che vive chi ha inseguito il sogno di un mondo migliore e ha assistito alle macerie del pallido surrogato di quel sogno. Quasi nessuno nella sinistra si interrogava, nel 1948, sulla veridicità del verbo staliniano. Nessuno può fare a meno di farlo nel 2016. Prima ancora che artista, infatti, Neruda era comunista, in linea con la dottrina marxista del primato della politica. E Calderón tende a non farlo mai dimenticare, riempiendo lo script di innumerevoli citazioni del vocabolo "comunista", come se fosse divenuta una bestemmia, a seguito dell'americanizzazione del linguaggio universale che ha contraddistinto gli ultimi decenni. Larraìn si conferma cantore ineguagliabile della storia del suo Paese e delle sue molteplici contraddizioni, capace in ogni occasione di adottare un registro differente: cruda provocazione in "Tony Manero", l'astrazione del marketing dalla tragedia in "No - I giorni dell'arcobaleno". Per "Neruda" sceglie l'estetica del cinema noir classico americano e la cala in un contesto quasi onirico, leggero e veloce come i versi del poeta, magari pronunciati in un bordello di quart'ordine tra fiumi di alcol. I movimenti di macchina sono talora bruschi, talora fluidi: provano a replicare l'alternanza di emozioni dei personaggi, senza mai aderire, in un modo che sarebbe stato troppo prevedibile, alla soggettiva dell'uno o dell'altro protagonista. 
Riccardo Supino


La prospettiva è sempre originale, asimmetrica, spesso inverosimile. Il crescendo conduce progressivamente verso un confronto tra due uomini che si temono e si rispettano, benché sia chiaro fin dall'inizio come uno dei due sia subalterno rispetto all'altro. L'ispettore inventato come nemesi ideale del poeta è personaggio fittizio in ogni suo aspetto, lo scarto definitivo da ogni residuo di realismo. Su di lui si abbatte una sindrome da Pat Garrett, una fascinazione insopprimibile per la figura di Pablo Neruda. Un'ossessione per la sua cattura che, più che altro, è dimostrazione a se stesso di volerlo e poterlo catturare e di essere all'altezza del suo rispetto, come uomo e come artista. Una interessante figura ai margini della storia, che rifiuta l'uscita di scena, specie come personaggio secondario. E che condisce di lieve ironia un epilogo sensazionale visivamente, è straordinario il lavoro del direttore della fotografia Sergio Armstrong, e narrativamente. Larrain con "Neruda" trova l'equilibrio perfetto tra esigenza di verità sugli eventi drammatici che hanno caratterizzato la storia cilena e narrazione allegorica. Realismo nei fatti, onirismo nella forma, in un mirabile connubio.

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