Lettere da Berlino
di Vincent Perez
con Brendan Gleason, Emma Thompson, Daniel Bruhel
Gran Bretagna, Francia, Germania
genere, drammatico
durata, 103'
Mai come in questi ultimi due anni era accaduto che il cinema si occupasse in modo cosi continuativo di ciò che è stato il nazismo per la storia dell’umanità. Accanto ai lungometraggi dedicati alla tragedia della Shoah che da sempre contano il più alto numero di rappresentazioni esiste un numero di titoli esigui ma significativi raccontati dal punto di vista di chi ai tempi del terzo reich si trovo dalla parte più sicura della barricata, quella della cosiddetta comunità ariana che partecipava alle conquiste hitleriane senza scontarne le aberrazioni più bieche e magari chiudendo un occhio sulla verità più scottanti del suo governo. Ed è proprio dalla volontà di ribellarsi al conformismo dell’epoca che nasce la storia di “Lettere da Berlino”, il film che Vincent Perez ha tratto da romanzo di Hans Falluda (“Ognuno muore solo”) a sua volta ricavato da un dossier della Gestapo in cui si raccontava la vicenda di due coniugi che dopo la morte in guerra del loro unico figlio avevano deciso di denunciare le falsità del governo Nazista nascondendosi dietro l’anonimato delle lettere disseminate dagli stessi nei luoghi più importanti della città.
Perez che in un tempo non lontano è stato un attore di successo sceglie di puntare sulla bravura di due interpreti di livello come Brendan Gleason ed Emma Thompson che nei panni di Otto e Anna Quangel incarnano al meglio la dignità di un dolore che riesce a trovare una parvenza di senso nell’azione di sabotaggio della propaganda filo governativa, cosi come risulta azzeccata quella di Daniel Bruhl nei panni dell’ufficiale dell’ispettore Esherich che da loro la caccia. Caratterizzato dall’esigenza di riconoscibilità che è figlia delle grandi produzioni internazionali e che per questo ragione assegna i ruoli principali a due attori famosi ma tutt’altro che autoctoni, “Lettere da Berlino” supplisce alla mancanza di realismo della messinscena e all’inconsistenza narrativa del filone dedicato alle indagini della polizia grazie alla capacità immedesimati di Gleason e della Thompson. E perché no al lavoro di Perez che si guadagna l’ingaggio con un approccio - e pensiamo al costante inserimento di inquadrature anomale volte a restituire gli stati d’animo dei personaggi e la pericolosità del momento - meno scontato di quello che si potrebbe credere. A chi però uscendo dal cinema, avesse ancora voglia di approfondire il tema con qualcosa di più profondo e coinvolgente consigliamo di dare un’occhiata a “La rosa bianca - Sophie Scholl” di Marc Rothemund dove sulla base di una vicenda più o meno simile lo spettatore assiste a un capolavoro drammaturgico di immane bellezza.
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