Hill of freedom
di Hong Sang-Soo
con Ryo Kase, So-ri Moon
Corea del Sud, 2014
genere: drammatico
durata: 66'
Il giapponese Mori torna a Seoul per ritrovare Kwon, che non vede da due anni. Nel frattempo vive alcune curiose avventure in città, che racconta in una lettera a Kwon, nella speranza che questa possa leggerla. Aprendo la lettera Kwon fa cadere le pagine, perdendo così il loro ordine: le leggerà in una nuova sequenza, cercando di ricostruire quanto avvenuto a Mori. L'arte quantomai complessa di mutare tutto senza alterare apparentemente nulla appartiene sempre più a Hong Sang-soo, che prosegue incessantemente nella sua opera di cesello di storie minimaliste e divertissement che, tra un espediente registico e l'altro, trovano il tempo di filosofeggiare sull'esistente. "Hill of Freedom" non fa eccezione: anzi, pare quasi un ulteriore passo avanti, nonostante la lunghezza contenuta, nella poetica del regista sudcoreano. In meno di 70 minuti Hong trova il modo di condensare le strategie narrative e le tecniche di ripresa a lui più care: zoom e piani fissi prolungati accompagnano un'ardita scomposizione tra fabula e intreccio, un nuovo esperimento sull'arte dello storytelling. Passato, presente e futuro sono solo proiezioni dell'uomo, come spiega lo spaesato Mori, ignaro di essere egli stesso il fulcro della dimostrazione empirica di questo concetto. Ancora una volta, il dialogo tace quando e parla l'amore: è particolarmente significativo il fatto che Hong scelga l'ellissi nelle scene violente, non mostrando ciò che chiunque sottolineerebbe, in coraggiosa controtendenza con un preponderante e diffuso esibizionismo registico. Hong appartiene a un'altra epoca e a un'altra idea di cinema, senza farne mistero. In fondo, farla nostra è solo una questione soggettiva: di passato, presente e futuro.
Riccardo Supino
di Hong Sang-Soo
con Ryo Kase, So-ri Moon
Corea del Sud, 2014
genere: drammatico
durata: 66'
Il giapponese Mori torna a Seoul per ritrovare Kwon, che non vede da due anni. Nel frattempo vive alcune curiose avventure in città, che racconta in una lettera a Kwon, nella speranza che questa possa leggerla. Aprendo la lettera Kwon fa cadere le pagine, perdendo così il loro ordine: le leggerà in una nuova sequenza, cercando di ricostruire quanto avvenuto a Mori. L'arte quantomai complessa di mutare tutto senza alterare apparentemente nulla appartiene sempre più a Hong Sang-soo, che prosegue incessantemente nella sua opera di cesello di storie minimaliste e divertissement che, tra un espediente registico e l'altro, trovano il tempo di filosofeggiare sull'esistente. "Hill of Freedom" non fa eccezione: anzi, pare quasi un ulteriore passo avanti, nonostante la lunghezza contenuta, nella poetica del regista sudcoreano. In meno di 70 minuti Hong trova il modo di condensare le strategie narrative e le tecniche di ripresa a lui più care: zoom e piani fissi prolungati accompagnano un'ardita scomposizione tra fabula e intreccio, un nuovo esperimento sull'arte dello storytelling. Passato, presente e futuro sono solo proiezioni dell'uomo, come spiega lo spaesato Mori, ignaro di essere egli stesso il fulcro della dimostrazione empirica di questo concetto. Ancora una volta, il dialogo tace quando e parla l'amore: è particolarmente significativo il fatto che Hong scelga l'ellissi nelle scene violente, non mostrando ciò che chiunque sottolineerebbe, in coraggiosa controtendenza con un preponderante e diffuso esibizionismo registico. Hong appartiene a un'altra epoca e a un'altra idea di cinema, senza farne mistero. In fondo, farla nostra è solo una questione soggettiva: di passato, presente e futuro.
Riccardo Supino
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