7:19
di: Juan.Michel.Grau.
con H.Bonilla, D.Bicher, O.Michel, A. Ortiz.
Messico, 2016
durata, 95'
Alle sette, diciannove minuti e quarantatré secondi del 19 Settembre 1985 un terremoto d'intensità 7.3 devasta Città del Messico spezzando - nella finzione - il piano sequenza d'apertura dell'omonimo film ("7:19", appunto) del messicano Grau, centrato su un eterogeneo gruppo di persone miracolosamente uscito quasi intero dal crollo dell'edificio di sette piani in cui ciascuno ricopre la sua mansione. Caso vuole che all'interno di una delle innumerevoli intercapedini parimenti fortuite prodottesi per l'accatastarsi di tonnellate di materiali frantumati, si ritrovino il custode dello stabile, il vecchio Martin/Bonilla - "quarant'anni incollato ad una scrivania di merda e a due settimane dalla pensione", appassionato di boxe alla cui visione si dedica per mezzo di un piccolo televisore portatile, surrogato meccanico di affetti perduti da tempo - e il dott.Pellicer/Bicher - tipo sbrigativo e altezzoso, assiduo frequentatore della società messicana che conta, nonché firmatario delle concessioni che hanno permesso alla solita genìa di sciacalli di lucrare su un numero imprecisato di progetti edilizi risparmiando sui materiali, non ultimo quello nel cuore del quale, adesso, si trova seppellito, per la precisione semi-stritolato dalla vita in giù -
Se l'idea - sebbene non nuova - di concentrare in uno spazio angusto caratteri diversi per mentalità, estrazione culturale, censo e generico atteggiamento verso le persone e la vita, resta uno degli espedienti sempre spendibili in quel Cinema di genere che si sforza di far scaturire tensioni e contrasti (e, in trasparenza, presunte verità ultimative su ciò che brulica al fondo di ogni animo umano) da una situazione imprevista capace di gettare i malcapitati al limite della sopravvivenza (qui, moltiplicata dal sistematico intercalare di voci, volta per volta disperate, perplesse, latrici di una sorta di sardonica rassegnazione - provenienti da chissà quale altra cavità accomodata dal capriccio del cedimento, oltremodo aggravato, questo, dalle ulteriori lesioni apertesi per via della prima, potente scossa d'assestamento - echeggianti nell'antro di Martin e Pellicer, polveroso e tetro come una tomba fatta di calcinacci e porzioni di muro), la somma delle singole parti di tale disastrato puzzle della resistenza a oltranza non si scosta mai dal trito repertorio delle recriminazioni sociali tardive perché, di fondo, intrise di ossequio e di viltà; dei sensi di colpa di comodo perché dimenticabili non appena si ristabiliscono le condizioni di una vantaggiosa normalità: dei rimpianti più o meno ipocriti o interessati, dei lepidi nonsense, quasi la fatalità della Morte - e per fortuna di questo Grau tiene conto - debba alla fine necessariamente imporsi, nel ruolo di equanime e, a modo suo, pietoso viatico all'oblio, su esistenze di certo sfortunate ma non innocenti.
TFK
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