Escobar
di, Andrea di Stefano
con, Josh Hutcherson, Benicio del Toro, Brady Corbet
Francia, Spagna, Belgio, Panama, 2014 -
genere, thriller
durata, 120'
Presentato al Festival internazionale del Film di Roma nel 2014 e da lì dissoltosi nel dimenticatoio distributivo sino a questa estate, quando la sempre oculata Good Films vi ha posto gli occhi sopra, Escobar è il ritratto dei mesti traffici a cui assiste lo spaurito Nick in un impero economico di natura utopistica con sede in Colombia. Il re del narcotraffico Pablo Escobar, presentato in modalità narrative differenti rispetto alla serie di successo targata Netflix Narcos, è per la popolazione locale il novello Robin Hood, un uomo che guadagna onestamente e ridistribuisce i proventi dei propri affari tra i compaesani più disagiati; Nick si trasferisce in Colombia per lavorare insieme al fratello e scopre la meraviglia in quelle coste, conformi anche alla sua passione: il surf. Grazie a questo passatempo conosce Maria, una ragazza dolce e sensuale, che lo ammalia e lo trascina con sé alla scoperta della sua famiglia: Maria è la nipote di Pablo Escobar, l’uomo amato in patria e temuto al di fuori, dalla nomea che lo precede, il boss rischioso da contraddire o tradire. Nick si guadagnerà la fiducia del capo ed entrerà in punta di piedi nelle rigide cerchia familiari, comprendendo solo in seguito quanto ciò potrà essere deleterio per la propria esistenza. Andrea di Stefano, attore alla sua prima esperienza dietro la macchina da presa, si getta in un progetto corposo ed importante, dimostrando la propria dote d’audacia e spregiudicatezza, compensate da un piglio registico fermo e coadiuvato da uno stile sporco, in linea con i business trattati nella pellicola. Sotto la sua egida si riconferma attore di prim’ordine Benicio del Toro, nuovamente alle prese con un personaggio storico di caratura notevole, il quale infonde al suo Pablo Escobar un’umanità sconcertante nelle assemblee di piazza, quando viene in contatto con la gente che lo acclama a gran voce, e nei momenti di gaudio familiare, dove emergono i lati eminentemente positivi del suo carattere.
La ferocia e le efferatezze di cui son colme le pagine storiche vengono occultate in pubblico, coperte da un sottile strato di finto perbenismo pronto a distaccarsi alla prima occasione nefasta, lasciando nuovamente visibili i segni delle violenze perpetrate ai danni degli sfiduciati. Nick crede di aver trovato il paradiso nel Sud America, ma è la stessa Maria a fargli notare come spesso gli stranieri scambino quella terra per l’Eden, celando la realtà sociale – amalgama di analfabetismo, povertà e violenza – dietro false effigi turistiche e lo stesso ragazzo commette questo errore valutativo due volte, credendo di poter trovare convenienza nella costruzione di un rapporto con un personaggio enigmatico come Escobar. Il boss arriverà ad affidargli un compito delicato che muterà completamente i loro equilibri e lascerà nudo il personaggio vissuto da Del Toro – perché l’interpretazione è intensa, vissuta – mostrando al ragazzo il vero volto del re del narcotraffico colombiano. Se Josh Hutcherson, reduce dai giochi con Jennifer Lawrence, nell’interpretare il bravo ragazzo si trova a suo agio, senza tuttavia eccedere o strafare, è Del Toro il vero catalizzatore dell’attenzione, pur ritrovandosi costretto in un canovaccio in cui il suo personaggio risulta marginale rispetto alle direttrici principali della narrazione, unite nel tentativo riuscito di tratteggiare un’apparentemente potente storia d’amore sorta in un delicato momento storico. Tecnicamente ineccepibile, con una fotografia giustamente premiata a Roma ed un’incisiva e poco sfruttata colonna sonora, Escobar è il riuscito ritratto di un ragazzo divenuto uomo, pronto a cambiar vita ed abitudini per amore di una donna, vissuto nelle fila del più tremendo capo cartello della Colombia, costretto a nascondere il potere economico di cui dispone per il futuro della propria famiglia, nel periodo in cui le fondamenta del suo impero iniziavano a scricchiolare, pronte a deflagrare in pochi mesi, lasciandosi alle spalle un boato ancor’oggi udibile.
Alessandro Sisti
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