Diritto di uccidere
di Gavin Hood
con Helen Mirren, Aaron Paul, Alan Rickman
Gran Bretagna, 2015
genere: drammatico
durata, 102
Il colonnello Powell guida a distanza una squadra di militari antiterrorismo nella cattura, in territorio keniota, di una cittadina inglese che ha rinnegato il proprio Paese per il fondamentalismo islamico di Al Shaabab. Quando l'esercito, servendosi di droni, scopre la verità sui piani dei terroristi, l'urgenza di fermarli con ogni mezzo diviene una priorità. Ai vertici, però, nessuno vuole prendersi la responsabilità di un attacco letale e dei suoi danni collaterali. Quasi una rappresentazione teatrale, in cui su un tema destinato a dividere vengono esposti i diversi punti di vista. I tre poteri dello stato, militare, giuridico e politico, si trovano a dover scegliere il male minore. Qualche innocente, in ogni caso, verrà danneggiato. Hood non fa sconti, esibendo cadaveri tra le macerie, senza morbosità, ma con il piglio verista di chi vuole ricostruire con la massima fedeltà una vicenda esemplare. Se Michael Bay ha scelto di concentrarsi sull'eroismo dei riservisti e sugli errori dei burocrati e Andrew Niccol sul dramma umano di chi gioca al videogame della guerra, uccidendo esseri umani in carne e ossa, a Gavin Hood interessa il dilemma morale.
È cinema antico il suo, che della contemporaneità utilizza la moltiplicazione degli schermi e dei dispositivi o la prospettiva del drone; il resto è classicità pura, affidata a due interpreti straordinari. Helen Mirren sceglie di scaldare il cuore gelido del colonnello Powell, consapevole della crudeltà di alcune scelte, ma dedita esclusivamente al raggiungimento del proprio obiettivo. Alan Rickman, invece, nella sua ultima interpretazione, regala al generale Benson un assaggio della sua inconfondibile ironia british. Senza negare mai la propria funzione di film che si presta all'apertura di un dibattito, la pellicola riesce umilmente a rinverdire i fasti di una forma di cinema troppo spesso trascurata. Questo anacronistico film diventa caso di studio, erede de "La parola ai giurati" di Sidney Lumet o, per restare in tema bellico, di "Orizzonti di gloria" di Kubrick. È una meticolosa ricostruzione dei fatti, destinata a toccare dei punti sensibili: politici, comportamentali, etici e a rendere problematica una presa di posizione chiara che prescinda dalle ragioni dell'altra parte. Il fatto che la sensazione di imperdonabile indecisione di fronte al dubbio morale che attanaglia sia ribaltata dallo schermo allo spettatore è fortemente voluto. Tutti questi elementi, uniti alle interpretazioni impeccabili di Rickman e Helen Mirren, elevano "Il diritto di uccidere" al di sopra della mediocrità in cui rischia, colpevolmente, di finire relegato. L'unico difetto è rappresentato da un epilogo che mostra ciò che è superfluo, sbilanciando irreparabilmente l'equilibrio dialogico fin lì esemplare.
Riccardo Supino
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