Non è la prima volta che muore una persona. Non è la prima volta che muore un attore. Ma forse è la prima volta che muore qualcuno che era già morto trentasette anni prima. Ed era morto pure male. Di certo è la prima volta che muore per la seconda volta un tale che morendo per la prima volta, pronuncia una delle frasi più celebri di tutta la storia del cinema e del junghiano “immaginario collettivo”.
Una frase che non potrà, che non dovrà essere più ripetuta, per mesi, anni, finché il cuore non trovi quiete, senza apparire blasfemia contro ciò che di più sacro umani e androidi possiedono: la capacità di sognare pecore elettriche.
Quelle parole, quella frase, quella poesia, sono state pronunciate per decenni, e mai, mai, hanno subito il logorio del tempo, l’inflazione della stolidità con cui venivano ripetute, scritte su tazze o magliette, gadget e portachiavi. Troppa potenza in quelle parole perché anche il postmodernismo liquido le sciogliesse, disperdendole come nafta nelle pozzanghere.
Ma ora è il tempo del silenzio, di impacchettare il sole, di dare un osso ai cani per non farli abbaiare, di chiudere la luna in una scatola, di fermare gli orologi.
Ora è il momento in cui quella lurida assassina, quell’infame e immorale mostruosità che chiamiamo “realtà”, è venuta a infilarsi nel ventre della pecora elettrica, come un punteruolo affilato. Come fa sempre, come ogni maledetto giorno della sua esistenza.
Il prestigio è svelato, oggi vediamo una fila di vasche piene di Angier annegati.
Abracadabra.
Roy Batty – data di termine 2019
Lidia Zitara
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