martedì 16 luglio 2019

L'ULTIMA ORA


L'ultima ora
di Sébastien Marnier
con Laurent Lafitte, Emmanuelle Bercot
Francia, 2019
genere, drammatico
durata, 104'




Il cinema francese non ha mai avuto paura di affrontare le questioni del nostro tempo e se mai ce ne fosse bisogno "L'ultima ora" di Sébastien Marnier ne conferma non solo l'attitudine ma anche le modalità. Per parlare di temi che sono di grande attualità in Francia come nel resto del mondo e che vanno dalla salvaguardia del pianeta al destino delle nuove generazione, come pure all'eterno conflitto tra genitori e figli, il lungometraggio in questione non rinuncia alle propria identità, manifestandola attraverso la volontà di collocare la vicenda all'interno di un prestigioso collegio francese dove, a fare da sfondo agli inquietanti fatti che seguono il suicidio di un docente, gettatosi dalla finestra di un'aula per imperscrutabili motivi, sono versi e citazioni di poesia e letteratura autoctone. Ma non basta, perché a localizzare ancora di più la vicenda - e come avremo modo di vedere, a renderla in egual modo sospesa in uno spazio-tempo non meglio precisato - ci pensano le scelte del regista che fa di tutto per circoscrivere lo sguardo all'interno del paesaggio che circonda l'istituto, le cui amenità sono rese anguste dal fatto di non potervi sfuggire nemmeno con la vista, l'orizzonte della quale è continuamente limitato dalla presenza ingombrante di architetture e vegetazione.

La dimensione claustrofobica e il disagio che ne deriva non è solo la maniera con cui il film trasmette lo strisciante malessere che accompagna il rapporto tra Pierre Hoffman (l'ottimo Laurent Lafitte), il supplente chiamato a sostituire lo sfortunato collega e la classe di studenti superdotati, alieni a qualsiasi tipo di normalità e riottosi a forme di socialità che non sia quella garantita dall'esclusività del loro sodalizio. Succede infatti che il fuori campo materializzato dall'universo che si cela oltre l'abitato frequentato dai personaggi e nel quale sono riposte buona parte delle ragioni da cui nasce il male della storia, sia al tempo stesso la metafora della condizione esistenziale del protagonista e dello spettatore (che con lui si identifica), avvinti da ciò che si nasconde dietro l'apparenza delle cose e per questo intenzionati a scoprire quale siano le intenzioni della straordinaria, quanto inquietante progenie.

La capacità di saper parlare attraverso le immagini però non si ferma qui: facendo corrispondere la routine quotidiana dei personaggi, scandita dagli appuntamenti dell'orario scolastico e dalle vicissitudini più elementari della vita privata, allo stile classico della messinscena, ed assegnando all'eterogeneità delle immagini (per esempio, quelle riprese dal cellulare o restituite da internet quando si tratta di testimoniare le conseguenze dello scempio ambientale) e alla discontinuità del montaggio (chiamato di tanto in tanto a mischiare i livelli di percezione della realtà) la funzione di destabilizzare il dispositivo cinematografico e, con esso, le garanzie di certezza che di norma dovrebbe assicurare, il regista parigino evita la retorica ed alimenta i dubbi sull'effettivo svolgimento dei fatti.

Da questo punto di vista è impossibile non pensare a certo cinema di Haneke, ricalcato nell'amoralità dei suoi personaggi, in una certa freddezza emotiva e nella presenza di accadimenti destinati a restare senza spiegazione, come pure nella mancanza di senso dell'esistenza (la sequenza finale e lo sguardo dei protagonisti ne sono la certificazione), la cui oscillazione tra bene e male restano purtroppo, o per fortuna, insondabili. Non avendo la stesso apparato teorico del celebre collega, Marnier interroga la realtà con le forme del thriller esistenziale già sperimentate nell'ottimo e purtroppo sottovalutato "Irréprochable". Rispetto all'esordio i meccanismi di genere devono vedersela con espedienti formali tipici del cinema d'autore, laddove l'azione dei personaggi non è mai fine a se stessa ma foriera di un altrove colmo di significati e di valenze. L'incontro non è sempre perfetto ma di sicuro affascinante.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)


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