mercoledì 9 gennaio 2019

VAN GOGH - SULLA SOGLIA DELL'ETERNITÀ


Van Gogh - Sulla soglia dell'eternità


di Julian Schnabel
con Willem Dafoe, Oscar Isaac e Mads Mikkelsen
USA, Francia, 2019
genere, biografico, drammatico
durata, 110'


Quando un regista decide di portare sullo schermo il ritratto di un'artista non è raro che ad andare in scena sia il transfert consumatosi nella sovrapposizione tra la propria vita e quella altrui. In questo senso l'inizio di "At Enernity's Gate" sembra confermare questa ipotesi. Al centro del film, infatti, c'è lo smarrimento di Vincent Van Gogh di fronte agli esiti della propria opera e la stasi del dubbio che precede la grande "fioritura". Le prime immagini non a caso ci presentano il pittore lontano dai pennelli e ancora ignaro degli strabilianti risultati che ammiriamo nei musei di tutto il mondo. Sostenuto economicamente dal fratello Theo, che gli permette di supplire alla perenne mancanza di denaro, il protagonista è un uomo estraneo al proprio habitat e a un'epoca incapace di apprezzare la rivoluzione insita nella sua opera. Attraversato da una tensione che la spinge a un costante rapporto con il paesaggio naturale, l'arte di Van Gogh trova nella campagna provenzale la condizioni per il compimento di un viaggio che coinvolge spirito e sensi, portando il pittore, dopo molti tormenti e non poche esitazioni, a trovare soluzione alle proprie domande. 

Da questo punto di vista "At Eternity's Gate" è un biopic anomalo in quanto a dispetto dei codici di genere il film di Schnabel non è per nulla propenso a raccontare il personaggio attraverso gli eventi più salienti della propria biografia. Approfittando della fama del pittore, di cui è pressoché impossibile non essere a conoscenza di vita e opere, e nella consapevolezza di confrontarsi con un soggetto iper frequentato (solo lo scorso anno sono usciti due lungometraggi ad esso dedicati), il regista riduce al minimo indicazioni di tipo cronologico o toponomastico, evitando di cadere nella tentazione - altrove molto frequente - di ricostruire sotto il profilo storico e del costume l'epoca a cui Van Gogh è appartenuto, ove si eccettuino le sequenze dedicate alla tormentata amicizia con Paul Gauguin (a cui presta il volto Oscar Isaac). Attagliata al carattere di un personaggio estraneo ai rituali dell'esperienza mondana e propenso a circoscrivere l'universo materiale all'interno di un cerchio ristretto di uomini e cose, tale scelta non solo ne rispecchia l'attitudine, ma permette al regista di non disperdere le forze, per concentrarsi esclusivamente sulla personalità e sul modo di sentire del pittore. 

Detto che il percorso del protagonista potrebbe essere stato simile a quello effettuato dal regista per ritrovare il proprio cinema, "At Eternity's Gate" ce lo restituisce nella sua versione migliore, riprendendo il discorso che il tonfo di "Miral" - uscito nel 2009 - aveva bruscamente interrotto. Così, se "Lo scafandro e la farfalla", girato nel 2007, aveva rappresentato una svolta nella carriera del regista, quella che gli aveva fatto vincere svariati premi, permettedogli di sdoganarsi da uno stile fin troppo compassato e didascalico per rendere merito all'anticonformismo della sua persona (la spropositata dimensione dei lavori realizzati nel campo dell'arte ne sono uno dei tanti esempi) a quella forma si rifà il regista per rendere l'universo di Van Gogh. Alla pari di Jean-Dominique Bauby - paralizzato da un incidente che gli ha lasciato solo il movimento della palpebra per comunicare - anche Vincent trova nello sguardo e nei sensi la maniera per sfuggire alla prigione del corpo, e come nel film del 2007, anche quello di oggi è destinato a trasformare lo schermo in un caleidoscopio di sensazioni e sentimenti ottenuti con un approccio impressionista e fenomenologico.

Dal suo canto, Schnabel ne approfitta per liberarsi da convenzioni e filologia, facendo un ritratto così personale dell'artista olandese, al punto da farlo parlare per la maggior parte in inglese (anche se sappiamo che il nostro conosceva il francese, l'inglese e il tedesco) e di affidarne l'interpretazione a un attore (Willem Defoe, alla pari del suo alter ego, un artista del proprio campo e in questo frangente favorito per la vittoria del premio di categoria) anagraficamente più vecchio (Van Gogh morì a 37 anni mentre Defoe supera i sessanta). Ma la misura della verosimiglianza è data dal modo in cui "At Eternity's Gate" riesce a rendere l'arte del geniale artista che invece di mostrarla nella maniera più convenzionale, ovvero riprodotta sulla tela dei quadri, ci viene raccontata nel magmatico miscuglio di sensazioni reali e immaginarie che occupano la mente del protagonista. In questa maniera i soggetti delle sue composizioni, cosi come le caratteristiche cromatiche e figurative tipiche del suo disegno, ritornano nella palette dei colori e nella luce utilizzata dalla fotografia di Benoit Delhomme, e ancora nella facce che compaiono di fronte allo sguardo (in soggettiva) del pittore. Meritati gli applausi alla fine della proiezione.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)

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