Euforia
di Valeria Golino
con Riccardo Scamarcio, Valerio Mastandrea, Jasmine Trinca
Italia, 2018
genere, drammatico
durata, 115'
Matteo è un imprenditore, Ettore è suo fratello maggiore ed ha un tumore al cervello.
Il più giovane dei due (e l’unico, all’interno della famiglia, al corrente della malattia) cerca, in ogni modo possibile, di aiutare il fratello. Oltre a nascondergli la vera natura della sua continua sofferenza, lo ospita nella propria abitazione, mette a sua disposizione tutti i confort possibili e immaginabili (dall’autista personale alla carta di credito) e fa in modo di permettergli di vivere gli ultimi momenti in serenità, al fianco delle persone alle quali vuole bene.
Ettore, però, non è dello stesso avviso. Anzi, non apprezza le esagerate cure del fratello, con il quale sembra non avere mai avuto un rapporto idilliaco, e non comprende (o sembra non voler comprendere) nemmeno il motivo di tutte queste attenzioni.
Questa la trama di “Euforia”, il nuovo film di Valeria Golino che vede l’attrice napoletana nuovamente nei panni di regista, stavolta intenta a dirigere Riccardo Scamarcio, nel ruolo di Matteo, e Valerio Mastandrea, nel ruolo di Ettore.
La diversità estrema (in tutto e per tutto) dei due fratelli è resa in maniera efficace dai due attori protagonisti, i quali, nelle loro interpretazioni, riescono a far trasparire bene questa sensazione allo spettatore.
Un film che, come filo conduttore, porta avanti l’amarezza e la malinconia di una malattia che, con l’andare avanti del tempo, si fa sempre più preponderante, quasi a volersi ergere a protagonista effettiva, a fronte dei due personaggi principali. Fortunatamente la Golino riesce ad arginare questo emergere e a mantenere la narrazione focalizzata sul rapporto tra i fratelli.
Ciò che lega Matteo e Ettore è, in primo luogo, la malattia, ma soprattutto la volontà di entrambi di riuscire a riavvicinarsi e instaurare un rapporto di fiducia, stima e affetto. L’intenzione di Matteo è forse quella più potente, dovuta, in gran parte, al carattere più forte e sicuro di sé, ma anche alla condizione economica e di salute. Ettore appare più come l’insicuro di turno, perennemente in ombra, che ha paura di aprirsi e far trapelare qualsiasi cosa riguardante i suoi pensieri, i suoi sentimenti e le sue sensazioni con il fratello.
Talvolta anche ironico in alcune sfaccettature, il film non cade mai in pietismi esagerati, ma, anzi, sottolinea il valore e l’importanza anche dei più piccoli gesti per far fronte a un ostacolo del genere.
Già nel primo film di esordio alla regia (“Miele”), la Golino aveva trattato il tema della malattia. Qui torna a sviscerare la stessa problematica, ma lo fa avvalendosi di due importanti figure. Sia Scamarcio che Mastandrea riescono a far percepire al pubblico ogni singolo elemento che compone il difficile mosaico di Matteo ed Ettore. Il primo ha l’abilità di mostrare tutte le diverse sfumature di un personaggio complesso che nasconde in sé molti segreti, molte paure e molte insicurezze che tiene per sé e, per non fare del male alle persone alle quali vuole bene, tiene nascoste il più possibile. Mastandrea, dal canto suo, è in grado di descrivere alla perfezione la sensazione di smarrimento di Ettore che, non essendo a conoscenza della gravità della malattia (pur avendola) si trova a interrogarsi sul comportamento del fratello e sul proprio modo di affrontare ciò che lo circonda.
Veronica Ranocchi
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