Una storia senza nome
di Roberto Andò
con Micaela Ramazzotti, Renato Carpentieri, Alessandro Gassmann, Laura Morante
Italia, Francia, 2018
genere, drammatico
durata, 110'
Una delle trovate più interessanti de "Una storia senza nome" di Roberto Andò consiste nel rendere manifesti i segreti che i vari personaggi del film nascondono dentro di sé. La storia senza nome menzionata nel titolo è quella relativa ai misteri scaturiti dal furto della Natività del Caravaggio dall'oratorio di San Lorenzo, avvenuta nell'ottobre del 1969 e diventa nel corso degli anni leggendaria per l'impossibilità di identificare i colpevoli e, soprattutto, di rintracciare la preziosa refurtiva. Nel rievocarla Andò sceglie la tesi che attribuisce il colpo alla mafia palermitana, sposando una narrazione che tiene conto delle ipotesi accumulatesi nel corso degli anni durante i quali l'incolumità del quadro, o la sua definitiva compromissione, sono state a varie riprese messe in discussione. Lungi dal farne una cronaca di costume o di prendere a pretesto i fatti per metterne in scena la ricostruzione storica dell'accaduto, "Una storia senza nome", attraverso un processo d'astrazione proprio della Settima arte, ne attualizza i significati facendo della vicenda in questione il surrogato di ciò che è realmente accaduto all'inizio degli anni Novanta con la cosiddetta trattativa tra Stato e Mafia.
Nella sceneggiatura, redatta dallo stesso Andò insieme ad Angelo Pasquini e Giacomo Bendotti, a scoprire l'inghippo è dunque Valeria (Micaela Ramazzotti), timida segretaria della casa di produzione dove lavora Alessandro (Alessandro Gassmann), sceneggiatore in crisi d'ispirazione di cui la donna è da sempre innamorata e per il quale scrive, sotto mentite spoglie, i copioni che l'altro non riesce neanche più a cominciare. A trasformarla in novella investigatrice è l'incontro con il super poliziotto interpretato da Renato Carpentieri e soprattutto le conseguenze scatenate dalla sceneggiatura della ragazza, rimaneggiata sulla base delle indagini svolte dall'uomo a proposito del tentativo da parte di uomini di governo e dei servizi segreti di ritornare in possesso del dipinto rubato, scendendo a patti con la malavita organizzata. Come si diceva all'inizio, il regista, pur mettendo in scena una commedia sofisticata con venature thriller, rinuncia fin da subito alla componente mystery connessa con le caratteristiche tipiche del genere, rendendo fin da subito partecipe lo spettatore degli intrighi e della lotta di potere tra gli opposti schieramenti. Avvantaggiandosi del fatto che non sempre la protagonista e anche il resto dei personaggi sono a conoscenza dei fatti e non lesinando a quest'ultima, e pure al pubblico, qualche sorpresa dal punto di vista affettivo (della quale ovviamente non si può dare anticipazione),
Andò enfatizza la natura cinematografica del racconto, con una libertà che accumula citazioni (da Hitchcock al W. S. Van Dyke di "The Thin Man") e sovrappone piani spazio/temporali (al punto di farci confonderci tra la realtà della vicenda e quella del film che si sta girando) all'insegna del divertimento e della fantasia. E se il fatto di giocare allo scoperto con i generi fa dei personaggi secondari delle maschere degne della migliore commedia italiana (basti pensare che a prestargli corpi e volto sono, tra gli altri, Antonio Catania, Gaetano Bruno e Renato Scarpa), la cui mimica sembra fatta apposta per entrare in collisione con quella sofisticata e rigorosa di Carpentieri e della Morante (qui nei panni della mamma di Valeria), per non dire del contrasto di caratteri della coppia Ramazzotti/Gassmann, lei algida e fragile come una vera femme fatale (basti pensare alle scena della seduzione portata avanti dall'attrice con strepitoso trasformismo), lui cialtrone e smargiasso in una maniera che sembra omaggiare certi tipi umani portati sugli schermi dal celebre genitore, ciò non toglie che "Una storia senza nome" continui sulla scia dei precedenti "Viva la libertà" (2013) e "Le confessioni" (2015) a parlare dello stato delle cose dell'Italia, viste attraverso i continui accostamenti tra cultura alta e bassa, qui rappresentata dalla maestosità del quadro di Caravaggio e dalla popolarità di un contenitore che in certi momenti ricorda quella di un Italia da soliti ignoti monicelliani (così sembra la scena del furto dell'opera, sebbene con ben altri risultati di quelli raggiunti da Totò e soci).
Senza dimenticarsi di una lettura della realtà che, pur alleggerita dal tenore scherzoso della messinscena, riesce a dire diverse cose interessanti su alcuni dei temi più scottanti della nostra politica e anche della Settima arte, omaggiata in lungo e in largo ma anche criticata quando si tratta di affermare - attraverso la voce di uno dei personaggi - la sempiterna contiguità tra cinema e malavita. Presentato fuori concorso all'edizione appena conclusasi della Mostra del cinema di Venezia, "Una storia senza nome" sorprende con intelligenza e buon umore.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)