mercoledì 23 agosto 2017

ANTONIA

Antonia
di, Ferdinando Cito Filomarino

con, Linda Caridi, Filippo Dini, Alessio Praticò

Italia,  2015
genere, biografico

durata,95’


Dolcemente guardinga Antonia Pozzi/Linda Caridi, liceale al Manzoni di Milano agli albori del Novecento, assieme all’amica del cuore osserva un paio di compagni impegnati in esercizi di lotta libera durante l’ora di ginnastica. E’ più o meno in questo attrito disciplinato tra corpo e ragione, tra impeto e discernimento, che si svolge la vicenda umana (e cinematografica) d’un artista tanto avvertito quanto precoce, in relazione al quale, nonostante tutto, la proverbiale ottusità accademica non riuscirà nello scopo di piegarne l’indole originale allo scoraggiamento.

Giovane membro della buona borghesia meneghina - padre avvocato, madre discendente da una famiglia di nobile lignaggio - gli echi contorti della dittatura fascista ancora attutiti dalle distanze confortevoli del rango sociale e del privilegio (ma probabilmente più insidiosi perché destinati a lavorare sul profondo, forse fino all’irreparabile), Antonia con l’approssimarsi della fine degli studi (la sua tesi del ’35 riguarderà La formazione letteraria di Gustave Flaubert), precisa il proprio slancio poetico costituito di fondo da una schietta irruenza (dentro i labbri di tutte le ferite/io stagnerò il tuo sangue/fra le ciglia di ognuno che si strazia/asciugherò il tuo pianto), da una vulnerabile irrequietezza (Stanotte un sussultante cielo/malato di nuvole nere/acuisce a sprazzi vividi/il mio desiderio insonne/e lo fa duro e lucente/ come una lama d’acciaio), come da un acerbo ma persistente presagio della Fine (Sola mi rannicchio/sopra il mio magro corpo. Non m’accorgo/che, invece di una fronte indolenzita/io sto baciando come una demente/la pelle tesa delle mie ginocchia). Filomarino (all’esordio), sulla scorta delle luci morbide ma contrastate di Mukdeeprom, racconta e insegue Antonia affidandosi a un duplice registro. Il primo genericamente naturalistico - di gran lunga il più riuscito - ritrae la protagonista in scene lineari e concise, poco o punto dialogate, lungo un itinerario che interseca gli sforzi per acquisire una personale voce letteraria; la crescente incompatibilità con l’ambiente familiare e sociale: gli amori impossibili o stolidamente non corrisposti. L’altro, nei presupposti simbolico, indulge di preferenza in sospensioni, sequenze volutamente non risolte o prolungate, attenzione evocativa su certi dettagli, azzardi espressivi (uno splendido nudo di Antonia/Caridi riversa sul letto a mo’ di Danaide di Rodin stranito dalle note anacronistiche di Va di Ciampi), a sottolineare un lodevole ma come sovente accade frustrante e, alla fine, insoddisfacente intento di rendere visibile o quantomeno percepibile un sentire intorno alla realtà in costante e contraddittoria formazione.

In un contesto tale, di asciutta sebbene didattica perseveranza, si distingue comunque la febbrile e vana applicazione amanuense di Antonia (la futura riconosciuta poetessa durante la breve vita non vedrà mai pubblicato nulla di suo) - quaderni pieni di annotazioni, brandelli di versi, minute di lettere, appunti sparsi, traduzioni, brani da rifinire - nonché, più in generale, il suo pellegrinaggio attento e nervoso, schivo ma partecipe, attraverso le cose d’un mondo (l’Italia della seconda metà degli anni Trenta) lanciato sulla china dell’ennesimo immane disastro, sempre col fare presago (quindi modernissimo) di una coscienza tesa a reperire un senso ultimativo che non si limiti alla rielaborazione teorica dell’esistente ma pretenda - attraverso comprensibili abbandoni e ritrosie - di raggiungerlo e d’imprimerlo nel proprio tempo in virtù di una mediazione esperienziale prima di tutto fisica (Antonia affronta, non di rado sola, le asprezze silenziose e le dolcezze elusive delle montagne - qui i rilievi della Valsassina -; frequenta pensierosa la calma antica della campagna lombarda: non considera la contemporaneità, per quanto retriva, ostacolo a una sessualità discreta ma libera perché curiosa e immune dai pregiudizi - Oggi, m’inarco nuda, nel nitore/del bagno bianco e m’inarcherò nuda/domani sopra un letto, se qualcuno/mi prenderà -). Aspetti d’un carattere vitale e complicato che il film accarezza a tratti, complice discreto e quasi involontario d’un mistero dolceamaro fatalmente inespresso che si compie ai primi di Febbraio del ’38, quando decide di sottrarsi per sempre al respiro dei giorni (nel frattempo divenuti oltremodo grevi), nemmeno ventisette anni dopo averne ricevuto il primo assaggio.
TFK

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