giovedì 31 marzo 2016
mercoledì 30 marzo 2016
The Division: nuovo livestream di Ubisoft dedicato alle Incursioni Diretta Live qui
23:54
No comments
Watch live video from TheDivisionGame on www.twitch.tv
The Division: nuovo livestream di Ubisoft dedicato alle Incursioni Diretta Live qui
News: Final Fantasy XV: Platinum Demo disponibile da oggi puoi Scaricarla
23:20
No comments
Fonte
Read the news in English
Square Enix, nel corso dell'evento Uncovered Final Fantasy XV, ha presentato Platinum Demo, la demo di Final Fantasy XV che sarà disponibile da quest'oggi. La demo sarà scaricabile gratuitamente per PlayStation 4 e Xbox One, come annunciato sul palco dell'evento. Per scaricare la demo non sarà necessario alcun pre-ordine e giocandoci sarà possibile sbloccare Carbuncle nel gioco completo.
martedì 29 marzo 2016
WAX - WE ARE THE X
04:56
No comments
Wax - We Are The X
di Lorenzo Corvino
con Jacopo Maria Bicocchi, Gwendolyn Gourvenec, Davide Paganini
Italia, 2014
genere, avventura
durata, 103'
L’indefinito, vacuo sentore di non indispensabilità che permea la generazione ora a cavallo tra i trenta e i quarant'anni sembra un riflesso del senso d’impotenza che caratterizza le nuove generazioni, costrette ad entrare nel mondo della maggiore età tra precarietà lavorativa, crisi finanziarie e problematiche sentimentali. Tematiche che creano un collante tra le differenti ondate giovanilistiche, proponendo loro una scelta inevitabile tra alternative impensabili e lasciando terminare la loro corsa soggiogati alla logica del servilismo. La generazione x, la vera protagonista del bellissimo film di Corvino, è una spaurita e sparuta minoranza che tenta di farsi largo nel marasma generale italiano, portando avanti una lotta personale e quotidiana contro ogni ostacolo che la società sembra gettargli lungo il percorso. Qualsiasi sia il proprio settore d’impiego, la generazione x è costretta a subire ricatti, sotterfugi dei propri superiori o datori, scorciatoie poco lecite che li vedrà inequivocabilmente implicati, loro malgrado. Sacrificabili nella loro totalità, vendibili come merce di scambio al peggior offerente, gli appartenenti a tale categoria si barcamenano alla costante ricerca di una stabilità irraggiungibile, un lido di pace interiore ed esteriore che sembra sempre più un’illusione, un miraggio in un desolato deserto di infelicità. Dario e Livio sono i due esponenti di tale vizio di forma societatis, un regista ed un factotum di produzione assoldati per girare uno spot di una nascente azienda automobilistica italiana per conto di una società di produzione che sembra avere, come di prassi nel cinema , il rientro economico come unico e imprescindibile scopo. Inviati a Montecarlo per i sopralluoghi incontreranno Joelle, addetta ai casting in loco, con la quale legheranno un intenso rapporto e con lei affronteranno le insidie che il lavoro sembra seminare sul loro cammino.
Corvino alla sua prima regia in un lungo si butta a capofitto in una storia che sembra avere particolarmente a cuore, una pagina della vita sociale contemporanea in cui è stato coinvolto lui stesso, portando sullo schermo una vicenda amara ma tristemente reale. Immerse in una luce che vivifica ed esalta i colori della Francia, le peripezie dei tre giovani si alternano ad un crescendo di consapevolezza del loro reale ruolo sia sociale che lavorativo. L’unico elemento che a tratti può sembrare debole in una struttura narrativa quanto mai efficace è la cornice, all'interno della quale sono racchiuse le storie dei ragazzi; il racconto fornito da un perentorio ex-avvocato ad un giornalista d’inchiesta italiano appare, come è giusto che sia, secondario e quasi scontato, contrariamente all'intreccio vero e proprio, avvincente pur nella sua lunga durata. Il ritmo è ben sostenuto da uno stile registico davvero interessante, originale nell'adozione di punti di vista inusuali ed armamentari tecnologici di uso domestico, e da un montaggio che riesce nell'intento di non annacquare un buono script con inutili lungaggini. L’ambientazione francofona è visivamente appagante, offre scorci naturalistici e artificiali che permettono alla fotografia di agire su di essi aumentandone l’efficacia in maniera esponenziale.
Giocando in sede di missaggio, Corvino unisce presa diretta, suoni diegetici e colonna sonora in un serrato crescendo narrativo, giungendo al suo apice nella sequenza dell’elicottero quando il montaggio pressa lo spettatore, intimorendolo con il suono delle eliche in avvitamento e l’annichilimento di ogni altro sonoro, in maniera simile a quanto poi accadrà nel pre-finale in cui anche una indicazione luminosa d’emergenza annullerà il mondo circostante, lasciandoci soli all’interno dell’auto dei ragazzi, in balia degli avvenimenti che stanno accadendo attorno. Se Sartoretti ed Hauer sono attori ad utilità limitata nell’impianto filmico e Renzi assurge a deus ex-machina della situazione, stesso non dicasi dei tre protagonisti, calati a perfezione nei loro ruoli, pur con leggerissime sbavature, quasi impercettibili. Il rapporto che viene a formarsi tra i giovani è costantemente sotto il controllo di Dario, a sua volta manovratore della narrazione tramite i suoi astrusi metodi di ripresa, e giunge a maturazione nel finale, quando le carte vengono a scoprirsi e per il curioso trio si aprono nuove prospettive di vita. La nostalgia che attanaglia Joelle, la sua vita circense e gli amori che la tormentano fanno da sfondo ad una vicenda ricca di risvolti, importante nel suo procedere critico nell’asfittica contemporaneità, priva di intenti moraleggianti ma ammonitrice su un possibile, (s)venturo, futuro.
Alessandro Sisti
Video: Dark Souls III: la versione PlayStation 4 Asfalta la Versione Xbox One
02:26
No comments
Fonte
Sebbene Bandai Namco non avrebbe mai voluto che lo facessero, un sacco di giocatori hanno scaricato Dark Souls III tramite lo store giapponese di Xbox One, testando il titolo prima del previsto. Abbiamo infatti riportato l'analisi tecnica (la trovate QUI), da cui risulta che sulla console Microsoft il titolo gira nativamente a 900p, utilizzando l'upscaling per raggiungere i 1080p. Inoltre, soffre di gravi cali di framerate, tanto che la velocità di frame scende a 20fps durante i combattimenti con i boss.
Il gioco su PlayStation 4, tuttavia, non dà gli stessi problemi. Nel video qui sotto vengono infatti messe a confronto le due versioni e scopriamo che sulla piattaforma di nuova generazione Sony il titolo gira stabilmente a 30fps. A ogni modo, un problema comune di entrambe le versioni di Dark Souls III è che il motore di Bloodborne ha difficoltà nel frame-pacing (tradotto in italiano come ritmo dei fotogrammi): in sostanza, i frame non sono sempre ordinati e pertanto il gioco soffre di stuttering.
Tirando le somme, la versione Xbox One è assolutamente piacevole da giocare a detta di Digital Foundry, ma è su PlayStation 4 che il titolo rende meglio.
lunedì 28 marzo 2016
News: Le 10 cose che devono tornare in Dark Souls 3 " Leggi qui "
21:56
No comments
Fonte
Read the news in English
Più ci avviciniamo all'uscita di Dark Souls 3 e più l'attesa si fa insostenibile. Mancano circa due settimane al lancio ed è forse questo il periodo in cui la fantasia si scatena maggiormente, immaginando quali sadici espedienti il buon Miyazaki-san si sia inventato per prenderci alla sprovvista in quest'ennesima (e speriamo non ultima) incarnazione della saga. Si tratta di giorni creativamente prolifici, che hanno contagiato in particolare chi vi scrive, ormai assiduo giocatore della serie Souls e sognatore di prospettive videoludiche che molto spesso rimangono solo delle mere fantasie. Oggi però è il giorno del riscatto. Oggi è giunto il momento di dirvi cosa non può assolutamente mancare in Dark Souls 3, perché ne abbiamo viste davvero di cotte e di crude, ma certi ritorni, specialmente nel capitolo più citazionistico della saga, iniziamo a darli davvero per scontati.
Ciò che segue è soprattutto il delirio di un appassionato, che vi scrive senza fare alcun tipo di spoiler su Dark Souls , ma riferendosi solamente a quanto visto nei precedenti capitoli della saga (includendo anche il "cugino" Demon's Souls). Specifichiamo anche che questo articolo nasce da idee antecedenti agli streaming che è già possibile vedere in questi giorni, che potrebbero smentire in parte (o del tutto) quest'ironico elenco.
1. I maledetti Gargoyle
La Torre di Latria rappresenta a tutt'oggi uno dei picchi di terrore più elevati dell'intera saga Souls, con le sue atmosfere cupe e putrescenti. Col senno di poi, sono state forse queste la base del recente Bloodborne, fatto di campanili e cattedrali dal gusto squisitamente gotico. I Mangiauomini furono un trauma: in un'epoca nella quale Demon's Souls era ancora un fenomeno indipendente diffusosi col passaparola, ritrovarsi all'improvviso contro due boss invece di uno chiarì con violenza che (virtualmente) non c'era un limite alla sofferenza esperibile in quel videogame. Una tradizione mantenuta con una coppia di Gargoyle alla Chiesa dei non morti e ripresentata al Campanile della Luna, diventando una delle sezioni più frustranti di tutto Dark Souls 2. Fino a due invasori in contemporanea, inaciditi dall'essersi autoinvitati nel loro covo, e un esercito di nani malefici, tanto dolorosi quanto difficili da colpire a causa della loro ridotta statura. E tutto questo per cosa? Per finire nuovamente in pasto a un altro gruppo di gargoyle fino a un massimo di 6, pronti a renderci gli inconsapevoli protagonisti di una gang-bang a base di fiamme e alabarde.
Cosa vorremmo? Per andare controcorrente ci starebbe bene magari un solo gargoyle, magari sul tetto di una cattedrale piena di statue distrutte, ad indicare che in molti sono passati di lì, ma che il nostro avversario è riuscito a dimostrarsi più forte dei suoi parenti finiti in pezzi. Potrebbe anche trattarsi di una signora gargoyle, che a metà salute finisca col ventre aperto e decine di piccoli imbizzarriti che vogliano vendicare la loro dolce mammina...
2. L'armatura di Havel
È ormai nota la passione degli esperti di Dark Souls per i movimenti rapidi e per le rotolate come principale mossa di difesa: del resto il margine di invulnerabilità (se ben sfruttato) consente una reattività molto maggiore e, conseguentemente, permette di attaccare più spesso i prevedibili avversari. E per tutti coloro che invece preferiscono andare piano piano e ripararsi dietro centimetri di duro acciaio? Che si trattasse del buco in un camino ad Anor Londo o di una stanzetta chiusa a chiave giù per lo Scolo, l'armatura di Havel è sempre stata una garanzia per gli amanti del fat-roll, con il suo estremo coefficiente di difesa e con il suo peso, non propriamente alla portata di tutti. Memorabile lo scudo incatenato, in grado di difendere persino dagli attacchi di re Vendrick, a patto però che si avessero i 50 punti forza necessari a equipaggiare un simile blocco di pietra.
Cosa vorremmo? Il set completo deve tornare, così come anche un avversario che lo indossi e che ci faccia patire le pene dell'inferno. Magari un fabbro potrebbe aver trovato in qualche pergamena il progetto di quest'antica armatura, spedendoci in giro per Lothric a cercare dei materiali adatti per poi forgiarne addirittura una versione migliorata. Chi lo sa, magari potrebbe garantirci la somiglianza con una colonna in pietra al punto da poter rimanere immobili e cogliere i nemici di sorpresa.
3. L'area buia del Disagio
L'area in cui sei perennemente avvolto nelle tenebre e rischi di cadere da un traballante ponte di legno è uno dei marchi di fabbrica delle produzioni From Software. Chiunque abbia provato Demon's Souls ricorderà quanto potessero essere terribili quegli abomini giganti col becco da corvo alla Valle della Corruzione, creature ridicolmente forti in grado di spingerti di sotto con un solo colpo di clava (e chi vi scrive li beccò in forma red phantom a causa di una World Tendency ormai andata a farsi benedire). In Dark Souls le cose non fecero che migliorare con la Città Infame, che, specialmente su console, abbinava alle suddette impalcature un "solido" framerate perennemente tra i 10 e i 15 fps: una goduria che tuttora continua a tormentare i sogni di chi ce l'ha fatta a uscirne vivo. Lo Scolo, un po' per l'esperienza accumulata, un po' per semplicità strutturale, probabilmente uscì un po' più semplice del previsto a From Software, ma di sicuro tutti quanti abbiamo sperimentato il piacere di un tuffo mortale su una delle piattaforme nel pozzo di collegamento a Majula.
Cosa vorremmo? È più che sicuro che all'improvviso ci ritroveremo avvolti nelle tenebre, magari senza torcia, dispersi in un labirinto sospeso fatto di ponti traballanti e di salti obbligatori da eseguire al millimetro. Quel che, molto masochisticamente, potremmo auspicarci è una boss fight in un'area del genere, in cui, prendendo spunto dalla Peccatrice Perduta, si possano accendere delle fonti di luce che diventino necessarie per poter combattere senza rischiare di cadere di sotto. E se il boss diventasse sempre più trasparente ad ogni fiaccola accesa?
4. Smough (o chi per lui)
Anor Londo fu il vero spartiacque per molti giocatori, tra arcieri che sparavano cannonate e passeggiate su architravi protetti da ninja in tenuta bianca; il tutto condito da un epico scontro finale che fungeva semplicemente da giro di boa dell'intero arco narrativo. Possiamo chiamarlo fan-service allo stato puro, ma ritrovarsi di fronte a una versione grigiastra di Ornstein alle prime battute di Dark Souls 2 scommettiamo abbia causato un tuffo al cuore ad ogni vero appassionato. Sia chiaro, riproporre un medesimo avversario, seppur dotato di alcuni attacchi aggiuntivi, è una mossa di cui non bisogna abusare, ma il piacere di farla pagare nuovamente (questa volta con semplicità) a chi ci ha causato tanti problemi in passato è una sensazione che non ha prezzo. Certo, quel drago a difesa della Cattedrale del Blu nell'edizione Scholar of the First Sin rendeva proibitivo avvicinarsi al Vecchio Ammazzadraghi fino a metà gioco, ma a maggior ragione la fine che attendeva questo erede (reincarnazione?) di Ornstein diventò ancor più umiliante.
Cosa vorremmo? Se è toccato a uno, per par condicio ora deve toccare anche all'altro. Affrontare Smough nuovamente in un 1 contro 1 dovrebbe essere ben più semplice a causa della sua lentezza, tant'è che la strategia di vittoria più comune prevedeva di lasciarlo per ultimo nella sua versione potenziata. Stavolta si potrebbe approfondire il lato cannibale del malefico esecutore, facendocelo affrontare in una sala delle torture tra le urla dei condannati a morte di cui potrebbe cibarsi per recuperare salute durante lo scontro.
5. Il culto del Sole
Chiunque abbia patito le pene dell'inferno in solitaria può capire molto bene quanto la presenza di un alleato sia di conforto in un regno in cui la speranza se n'è ormai andata da tempo. A meno che la vostra vena sadica non abbia preso il sopravvento con i Darkwraith, crediamo che un po' di spirito compassionevole vi abbia spinti, almeno una volta, a intraprendere la luminosa via del Sole, fatta di jolly cooperation e lodi a questo grande Padre incandescente. In tutto questo, Solaire è diventato un po' l'emblema della nobiltà d'animo a Lordran (in Italia quest'immagine si è diffusa soprattutto grazie al grande Pruld), tant'è che i suoi adepti hanno perpetrato tali ideali anche nelle lontane terre di Drangleic, come testimonia un'antica statua in rovina nella Valle del Raccolto. Una tradizione benevola che ci viene ricordata ogni volta che ai nostri piedi appare un marchio di colore giallo, come i caldi raggi di un Sole meritevole di ogni nostra preghiera.
Cosa vorremmo? Questo sembra proprio essere il Dark Souls dei grandi ritorni e avere a che fare nuovamente con Solaire sarebbe indubbiamente un motivo di gioia per l'intera community. Dando per scontata una riproposizione del patto cooperativo per eccellenza, questa volta potremmo imbatterci in veri e propri santuari che lascino presagire un culto più florido e degno degli ideali più nobili dell'intera saga. Perché gli amici si vedono nel momento del bisogno: PRAISE THE SUN!
6. Le strade sbagliate nelle prime zone
In Demon's Souls l'inizio era una strada a senso unico e ciò fu da subito causa di frustrazioni senza fine dovute all'assenza della possibilità di investire le anime accumulate, almeno finché non si fosse ucciso il primo boss. Ogni scorciatoia di quell'indimenticabile travaglio aveva un sapore unico, perché ti faceva sentire più vicino a un obiettivo, ancora non ben definito, ma che avrebbe permesso al gioco di aprirsi finalmente in ogni sua sfaccettatura. Per chi, come chi vi scrive, si lamentava dell'eccessiva linearità di quella sezione, le prime ore a Lordran furono la giusta punizione per una superbia e una presunzione che mal si sarebbero sposate con tutto il resto del gioco. Tutti sapevamo che gli scheletri alla Cripta delle Tempeste di Demon's Souls erano il modo migliore per farmare: quella bella strada dritta di fronte a noi che conduceva a un cimitero pieno dei suddetti ossuti fu talmente scontata e invitante da farci perdere ore e ore nella speranza di raggiungerne la fine. Il tutto per arrivare poi alle Catacombe e morire con un teschio esplosivo in piena faccia. Forse c'era qualcosa che non andava, infatti decidemmo un po' tutti che l'ascensore che portava alle rovine di Petite Londo sarebbe stato una via più semplice per iniziare la nostra avventura. Purtroppo finimmo accerchiati da fantasmi invulnerabili ai nostri attacchi, se non direttamente annegati nell'acqua alta. Poi, all'improvviso, dopo ore di imprecazioni e di capelli strappati, arrivò quel magico momento in cui tutti notammo la stradina che si inerpicava verso il borgo dei non-morti e capimmo di aver perso ore e ore del nostro tempo senza ancora aver concluso essenzialmente nulla. Una tradizione riproposta poi con la Torre della fiamma di Heide e una serie di spade spezzate a causa delle corazze troppo resistenti degli antichi cavalieri a difesa del posto.
Cosa vorremmo? Vorremmo sbagliare strada, e lo diciamo senza remore. Mettere a disposizione del giocatore fin da subito delle aree di livello avanzato è fonte di frustrazione, ma è anche un metro di paragone per capire, una volta progrediti nel gioco, quanti avanzamenti si siano fatti sia in termini di gear, sia in quanto a dimestichezza con i comandi. Certo, dopo un po' l'escamotage rischia di essere facilmente percepibile ed è proprio per questo che i nemici dell'area dovrebbero fuorviarci con la loro debolezza, per farci arrivare baldanzosi a un boss che ci uccida con crudele sadismo, un po' come fu con il Demone Capra.
7. Un Persecutore 2.0
Se c'è un elemento che vistosamente ha alterato la struttura di Dark Souls 2 nell'edizione Scholar of the First Sin è la riproposizione a più mandate del Persecutore nel corso dell'avventura. Se già non fossero state sufficienti le apparizioni nella versione base, nella riedizione questo boss ha potuto palesarsi nei momenti meno opportuni, dandoci il tormento e costringendoci a delle ritirate in extremis per non perdere il sudato bottino. Lo suggeriva anche il nome: dove stava la persecuzione in un cavaliere fluttuante corazzato che potevamo (non molto abilmente) abbattere trafiggendolo con una ballista "casualmente" posizionata nella giusta direzione? Fu proprio la moltiplicazione degli incontri a costituire il primo passo verso un maggiore dinamismo delle boss fight, uno scardinamento dei canoni tipici di una saga che, a modo suo, stava cercando di svecchiarsi.
Cosa vorremmo? Qualche scontro più dinamico, con boss che cambiano di fase e di luogo con l'incalzare della battaglia, ma anche con nemici che non muoiono mai del tutto e che possono rendere potenzialmente ogni zona il luogo prescelto per una boss fight. L'incertezza e la casualità sono fattori un po' estranei alla saga Souls, ma per rendere anche il PvE stimolante c'è bisogno di introdurre delle variabili, più o meno marcate, che costringano sul "chi va là" anche i giocatori più esperti. Ovviamente il tutto senza possibilità di fuga, sia chiaro.
8. Le invasioni nelle boss fight
Il Vecchio Monaco prevedeva un concept davvero originale in termini di gameplay, con la possibilità di affrontare un altro giocatore che facesse le veci del boss e si occupasse in prima persona del nostro fallimento nella parte più alta della Torre di Latria. Un'idea interessante che rese lo scontro in questione uno dei più facili o dei più complessi in base a come girasse la nostra fortuna quel giorno. Saltando a piè pari il primo Dark Souls, tale dinamica tornò con il Cavaliere dello Specchio, un energumeno che evocava dal proprio scudo degli antipatici NPC e, all'occorrenza, dei giocatori per intralciare e rendere ancor più arduo il già difficile obiettivo di base. Un sistema scorretto? Molto probabile, ma nel momento in cui si inserisce il disco di un titolo From Software bisogna sempre essere pronti a combattere anche in evidente stato di svantaggio.
Cosa vorremo? La situazione potrebbe evolversi andando al di là della semplice evocazione di un giocatore nemico. Immaginiamo una boss fight in cui due potenze si stiano scontrando tra loro e noi, inermi spettatori, che dobbiamo ferire inizialmente quello che vogliamo diventi il nostro sfidante. Un'eventuale richiamo dall'altra parte porterebbe a un epico scontro 2v2 che, per una volta risulterebbe bilanciato e godibile da entrambe le parti. Certo, a meno che non si entri nella stanza del boss già con 2 alleati al proprio fianco, aspettando al varco il poveretto che si paleserà di fronte a noi.
9. Un parente del Duca
Il ruolo di Seath all'interno della grande guerra fu decisivo e ciò gli garantì il titolo di Duca e un ampio archivio in cui chiudersi e dedicarsi completamente alla ricerca. Molti lo definirebbero sbrigativamente un traditore della patria, un voltagabbana che portò all'estinzione dei draghi, ma a Lord Gwyn il suo aiuto fece molto comodo, tant'è che poté agire indisturbato con i suoi esperimenti sulle povere vergini trasformate in polpi lamentosi. In Dark Souls II incontriamo Freja, l'Amata del Duca, un gigantesco ragno a due teste che custodisce gelosamente le spoglie di quello che probabilmente un tempo era il suo compagno. Un intreccio amoroso che si infittisce e si complica ancor di più di fronte a evidenti differenze di specie e a eventuali ibridi che possano essere nati da tale relazione.
Cosa vorremmo? Abbiamo già avuto a che fare con il Duca e la sua Amata, ma crediamo che, come nelle migliori soap opera, ci sia ancora spazio per un altro membro della famiglia, magari il già citato figlio, che a questo punto sarebbe mezzo drago albino e mezzo ragno a due teste. È vero, molte teorie sostengono che Priscilla, la custode del Regno Dipinto di Ariamis, sia già l'abominevole "frutto dell'amore" tra Seath e la formosa Gwynevere, ma non ci sorprenderebbe affatto sapere che quella dolce ragazza dalla soffice coda abbia un fratellastro brutto e cattivo.
10. Il Drago-Boss-Segreto-Finale-Fortissimo
Il drago è da sempre il nemico prescelto per garantire nei titoli a sfondo fantasy degli scontri epici e memorabili. Da questo punto di vista la saga Souls non fa eccezione, infatti in ogni titolo è possibile riscontrare come gli scontri più difficili siano sempre riconducibili a queste eleganti e letali creature. In Demon's Souls i draghi gemelli rosso e blu ci inseguirono per tutto il primo mondo, radendo al suolo interi passaggi obbligati e, fin troppo spesso, bruciando le nostre carni all'interno di bollenti armature. La Viverna fu l'incubo iniziale di molti giocatori di Dark Souls, ma fu Kalameet a spezzare le ginocchia di coloro che, convinti di aver terminato il dlc dedicato ad Artorias, si sentivano onnipotenti verso qualsiasi avversità. Il trionfo di tale filosofia lo abbiamo visto al Nido del Drago di Dark Souls II, ove il terrore di finire schiacciati o arrostiti diventava una fin troppo realistica eventualità, finendo poi massacrati con una sola vampata del mastodontico (Falso) Drago Antico.
Cosa vorremmo? Un altro lungo ponte vuoto di fronte al quale sostare per qualche buon minuto, per paura che arrivi una minacciosa presenza dal cielo a ricordarci che ancora non abbiamo capito come funziona questo titolo. Un altro scontro opzionale da affrontare alla fine del gioco per mettere alla prova tutto il gear e l'esperienza accumulati in ore di faticoso lavoro e scoprire, alla fine, che possiamo comunque morire in pochi istanti. Certo, poi l'obiettivo finale sarebbe combattere altri nemici e il drago stesso proprio sul suo dorso, ma è forse questo il chiaro segnale di quanto la nostra fantasia stia divagando troppo rispetto alle reali possibilità della produzione e che sia necessario, al più presto, un veloce ripassino di tutti questi bei riferimenti che ci siamo divertiti a ricordare assieme a voi.
BONUS: I gatti parlanti
Immancabili. Nel primo Dark Souls, Alvina ci consentiva di stringere il Patto della Foresta e smettere così di essere invasi di continuo lungo la strada per raggiungere il lupo Sif. In Dark Souls II, Shalquoir il Tenero ha prosciugato le nostre finanze per permetterci di evocare più facilmente i nostri amici e di compiere salti senza subire danni. Siamo più che sicuri che anche in Dark Souls III ci sarà un gatto benevolo che ci aiuterà... O chi lo sa, magari potrebbe fregarci tutti e rivelarsi il boss più forte del gioco.
AVE, CESARE
06:15
No comments
Ave, Cesare
di Joel ed Ethan Coen.
con Josh Brolin, George Clooney, Alden Ehrenreich, Scarlett Johansson, Ralph Fiennes, Channing Tatum, Tilda Swinton, Jonah Hill, Frances McDormand.
USA, 2016
genere, commedia
durata, 105'
Quantunque l'umana Idiozia - idiozia nei comportamenti, a ritroso nelle intenzioni e negli scopi - assieme alla confidenza assimilata con l'Immaginario Americano e col Cinema (la Storia del), siano tratti ricorrenti nel discorso della coppia di St.Louis Park (dalle parti di Minneapolis, Mn), è indubbio che, in specie la prima, sia stata al tempo con oculatezza vezzeggiata, dopodiché arginata dal guinzaglio avvertito di determinazioni concordi circa l'inevitabilità del suo imporsi, quanto persuase del valore antalgico della di lei emersione senza infingimenti, come della sistematica sottomissione della medesima al regime dello sberleffo. Più o meno da sempre, cioè, la ditta Coen sbircia il termometro della dabbenaggine sapiens e, con pazienza pari alla sagacia, annota a margine glosse in forma di referti cinico-sarcastici: all'assommarsi ominoso delle insensatezze oppone poi, comunque, somministrazioni omeopatiche di humour freddo e sommesso disincanto.
Stavolta si torna nel cuore della Hollywood-del-cuore - quella dei musical del prediletto Busby Berkeley o, nel caso, dei marinai canterini e danzanti alla Gene Kelly; delle pellicole acquatiche con Esther Williams; dei western ingenui e delle high-society comedies - che è poi quella di "Barton Fink" e della Capitol Pictures, tutta presa - allora - a mettere in piedi un film sul wrestling da cucire addosso a Wallace Beery, e qui è quella tenuta alla stanga dal polso di Eddie Mannix/J.Brolin, scaltro risolutore-di-problemi, nix-man il cui solo intento è di far funzionare il meccanismo/il Cinema, oltre il quale - suggeriscono con la nota impassibilità i Coen - forse c'è solo, addirittura, la fine-del-mondo (occhio alla Lockheed e ai progetti di sperimentazione della Bomba H a spasso per gli atolli del Pacifico: leve teoriche e pratiche, queste - lauto stipendio e prospettiva di "non dover lavorare più dopo la pensione" inclusi - che a ripetizione tentano Mannix al fine di convincerlo a recidere il cordone che lo lega al circo delle evasioni di celluloide).
Tra l'apocalisse e la placida dittatura dell'Idiozia, ecco che si frappone il rapimento della star in mezza tunica e sandaloni Baird Whitlock/G.Clooney, fatto sparire durante la lavorazione dell'"intrattenimento per le masse ansiose di sognare" dal titolo Hail, Caesar - A story of Christ, ad opera nientepopodimeno che di un manipolo di vendicativi sceneggiatori/intellettuali sedicenti comunisti (siamo in zona pre-McCarthy, per intendersi, ennesimo crinale all'interno di un lavoro della ditta, a scongiurare, nella ciclica chimera di una metanoia impossibile e forse immeritata, il vecchio, doloroso sospetto di un altro mesto azzeramento funzionale sempre e solo ad una nuova e più feroce Idiozia), capitanati da un perplesso, non per questo meno vaniloquiente, Herbert Marcuse. In contrapposizione allo sgangherato disegno, s'adopera ancora il tetragono Mannix - barlume di pragmatismo (coeniano) in un oceano di scipita demenza - più che mai deciso a far sì che, bene o male, l'illusione sia ancora possibile nonostante tutto, eminentemente nonostante il brancolare a casaccio di una vasta torma d'inetti, di uomini-che-non-ci-sono: divi vacui e/o capricciosi (Whitlock/Clooney non trova di meglio che punzecchiarsi il sedere con la daga di scena ogni volta che i movimenti richiedono un minimo d'accortezza; DeeAnna Moran/Johansson litiga col suo "culo di pesce" che le comprime, nelle fogge plastiche della sirena in eterno ammollo, le incipienti morbidezze di una maternità casuale); maneggioni annoiati (Joe Silverman/Hill sbarca il lunario, blindato in un'ebetudine tutta sua che gli risulterà paradossalmente fruttuosa, garantendo per le scempiaggini commesse dai nomi di cartellone); eroi proprio malgrado (l'inghippo viene fiutato - non a caso, in modo quasi incidentale - dal cowboy ritardato Hobie Doyle/Ehrenreich, incapace d'intonare una battuta che è una ma pronto a seguire la più evidente delle tracce); pensatori frustrati e ipocriti (ossessionati dal demone del Capitale al punto di giocarselo in maniera grottesca e, giustamente, umiliante); giornalisti astiosi, queruli e... doppi (a dire che la stampa, come la giri, quella è: non un granché): tutti con lo stesso stupore prossimo ad un nirvana cretino stampato su visi nove volte su dieci assorti o increduli, specchi sbilenchi della grinta di Eddie the fixer, il cui sguardo, al contrario strizzato e diffidente, soppesa e distanzia come può l'universale Idiozia.
Tra giochi grafici e quinte fasulle, campi/controcampi scientemente didascalici, inquadrature strette ad isolare, evocativa attenzione agli oggetti e ai congegni, la luce soffice ma nitida di Deakins a palesare/camuffare la finzione di un'onnicomprensiva messinscena atta a dissimulare, nel migliore dei casi, l'inutilità di qualunque agitazione che voglia proporsi come rimedio ad una realtà vuota perché, di fondo, non tragica ma caricaturale, "Ave, Cesare" si propone all'occhio in una nudità quasi inerme - il film si apre e si chiude con una confessione - mostrando di sé oltre all'ordito (le singole figure, i loro atteggiamenti manierati, il frasario stereotipato, l'annaspare nella futilità persino con fatica), la trama, ossia quello sfondo imponderabile e con ogni probabilità insensato (l'esistenza ? La sua allucinazione ?) su cui stagnano le miserie di un umano mediocre e vile, sconfitto in partenza causa tare ineliminabili quanto - spesso - compiaciute, impossibilitato a migliorare e a trovar tregua se non nella ripicca senza scopo del Cinema, ingranaggio pretestuoso ma ludico, scherzo costruito allo scopo di non andare mai a vedere come-va-a-finire, perché lo si sa già e non vale la pena. Continuare, allora. Differire, procrastinare. A qualunque costo (la montatrice interpretata da F.McDormand rischia di strangolarsi alla consolle per mantenere in vita il girato), secondo lo schema di Mannix per cui "la gente non vuole i fatti, vuole credere". E per indurre a credere, vale tutto. Anche protrettici sganassoni. Ave, Cinema, dunque. Morituri te salutant.
TFK
News: #YouTubeConnect sfida Facebook Live e Twitter Periscope
00:24
No comments
Fonte veb.it
Read the news in English
Nel 2015 è cominciata la sperimentazione dei video “in diretta” sui social network, con applicazioni come Meerkat e il ben più noto Periscope per Twitter, le quali hanno aiutato gli utenti social ad approcciarsi al mondo live stream, ovvero dei video girati in diretta con lo smartphone alla portata di tutti.
Già da quest’anno il live stream è un’attività comune e quotidiana nei social: dopo Twitter è toccato a Facebook sdoganare a tutti gli utenti della funzione “Live”, togliendo il limite consentito ai soli vip e ai profili verificati. Adesso si accoda anche il colosso Google che, in totale silenzio, avrebbe messo in piedi in questi mesi YouTube Connect, che dovrebbe essere un’applicazione compatibile per smartphone con i sistemi operativi iOS e Android che dovrebbe sfidare gli altri colossi social come Facebook e Twitter, per riconquistare il primato dei video sul web.
Un’applicazione ovviamente accessibile a tutti gli utenti che dispongono di un account Google o YouTube, di fatto ormai unificati, o a coloro che vorranno registrarsi gratuitamente al network. Finora è già possibile registrare video in diretta con YouTube, ma l’azione è generalizzata e serve l’applicazione Creator Studio per gestire il proprio canale a 360 gradi.
Con YouTube Connect si aggiungeranno le funzioni di chat e menzione, in modo da poter citare altri utenti e quindi alimentare anche l’aspetto social dell’operazione. Le clip generate finiranno in diretta sulla bacheca di YouTube Connect, costruendo un flusso unito a quello dei canali sottoscritti su YouTube, in modo tale da poter vedere le clip “live” anche fuori dall’applicazione, sul relativo canale YouTube.
Proprio come in Periscope e Facebook Live, anche per YouTube Connect sarà possibile salvare le clip e lasciarle a disposizione degli spettatori una volta terminata la diretta.
Al momento il colosso di Mountain View si è chiuso nel silenzio e si è rifiutato di commentare, perciò non ci sono dettagli sui tempi di rilascio dell’applicazione. Molto probabilmente YouTube Connect potrebbe essere lanciata a ridosso della presentazione al Google I/O, la grande conferenza per gli sviluppatori in programma dal 18 maggio.
domenica 27 marzo 2016
sabato 26 marzo 2016
LAND OF MINE - SOTTO LA SABBIA
11:25
No comments
Land of Mine - Sotto la sabbia
Il film percorre le tappe di una storia carica di tensione emotiva, che costringe lo spettatore a trattenere il fiato difronte ai primissimi piani di un esercito di bombe pronte ad esplodere. I volti puliti dei giovani prigionieri simboleggiano un intero popolo che, dopo aver messo l'Europa a ferro e fuoco, è stato costretto a richiamare alla leva ragazzini di tredici anni. Ci sono tutti i tipi umani: Vediamo Sebastian, perfetto leader, il cinico insofferente Helmut o i dolcissimi gemelli Ernst e Werner strappati ai sogni infantili per riscoprirsi affamati e impauriti in un mondo che desidera solo vederli morire.
La fotografia di un'ambientazione incantevole stride con i caratteri infernali di cui è imperniata la vicenda, in cui l'aridità degli animi si contrappone ai panorami mozzafiato di un deserto in riva al mare. Lo spettatore è in balìa di una narrazione ben costruita che genera una tensione costante, con una regia che predilige, il più delle volte, l'omissione alle immagini esplicite. La scelta di silenzi carichi d'intensità rafforza l'efficacia delle lunghe sequenze del film, con le musiche a fare
Ne risulta un'immagine di desolazione e impotenza, addolcita solo dal sergente Rasmussen, che riporta tutto ad un senso di rettitudine ammirevole grazie a una rinnovata empatia con i ragazzi. Il bagliore alla fine del tunnel, il confine con la Germania a poche centinaia di metri, risulterà però pretenzioso e un po' poco credibile laddove il cambio di tendenza sentimentale del capitano per i suoi prigionieri è un pretesto debole per il disgelo totale delle relazioni che conducono alla liberazione. Per un film che è riuscito a mantenere una linea lucida e realistica, il rischio era quello di scadere nella retorica, ma Zandvliet riesce a sublimare l'importanza degli sguardi dei ragazzi scomparsi a scapito delle parole dei superstiti, relegando la salvezza solo a un'anomalia.
di Martin Zandvliet
con Roland Møller, Mikkel Boe Følsgaard, Laura Bro
Danimarca-Germania, 2015
genere: Guerra
durata: 101'
Danimarca, 1945. La lotta per la sopravvivenza sembra ormai non conoscere limiti, consumandosi lenta e inesorabile. L'incubo della guerra ancora vivo negli occhi dei sopravvissuti giustifica una distorsione del concetto di giustizia nelle vittime del Nazismo. Sono questi gli ingredienti della tragedia che ha risucchiato la Danimarca e il mondo nel vortice nero della seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze. Una parabola umana in cui vittime e carnefici si confondono R che racconta come la disperazione generi uomini bestiali.
Nei giorni che seguirono la resa della Germania alla fine della seconda guerra mondiale, gli alleati deportarono migliaia di soldati tedeschi con l'onere di sacrificarsi per riparare al danno inferto al mondo dal regime nazista. Molti di quei soldati non erano addestrati, ragazzi costretti a percorrere in lungo e in largo le coste occidentali danesi per disinnescare più di due milioni di mine; quelle che l'esercito di Hitler aveva posizionato in previsione di un ipotetico sbarco degli alleati. Una storia poco conosciuta, che Martin Zandvliet sceglie di raccontare dal punto di vista di quattordici giovani costretti a muoversi carponi su spiagge assolate, affidando la vita alla capacità di un bastoncino di scendere quanto più possibile nelle profondità della sabbia umida, con il sangue freddo di esperti artificieri.
Disposti a sacrificarsi l'uno per l'altro, ma anche spaventati e pronti a scappare quando il primo compagno resta mutilato da una deflagrazione, i ragazzi appaiono in tutta la loro fragilità di fronte alla brutalità della guerra. È disumano il freddo comportamento con cui il sergente danese Rasmussen fa marciare la sua squadra sulle dune ogni giorno. La tirannia, universale per definizione, ha le stesse regole ovunque: manca di morale ed evita la riflessione sul peccato, trovando, a seconda dei casi e degli individui, una sua propria, seppur sempre differente, legittimazione. Così uomini in divisa costringono altri uomini in divisa alla paura, al terrore e alla negazione di se stessi, stando ben attenti ad evitare il confronto, sfruttando come unico contatto quello visivo, per sottolineare la sudditanza del prigioniero.
Nei giorni che seguirono la resa della Germania alla fine della seconda guerra mondiale, gli alleati deportarono migliaia di soldati tedeschi con l'onere di sacrificarsi per riparare al danno inferto al mondo dal regime nazista. Molti di quei soldati non erano addestrati, ragazzi costretti a percorrere in lungo e in largo le coste occidentali danesi per disinnescare più di due milioni di mine; quelle che l'esercito di Hitler aveva posizionato in previsione di un ipotetico sbarco degli alleati. Una storia poco conosciuta, che Martin Zandvliet sceglie di raccontare dal punto di vista di quattordici giovani costretti a muoversi carponi su spiagge assolate, affidando la vita alla capacità di un bastoncino di scendere quanto più possibile nelle profondità della sabbia umida, con il sangue freddo di esperti artificieri.
Disposti a sacrificarsi l'uno per l'altro, ma anche spaventati e pronti a scappare quando il primo compagno resta mutilato da una deflagrazione, i ragazzi appaiono in tutta la loro fragilità di fronte alla brutalità della guerra. È disumano il freddo comportamento con cui il sergente danese Rasmussen fa marciare la sua squadra sulle dune ogni giorno. La tirannia, universale per definizione, ha le stesse regole ovunque: manca di morale ed evita la riflessione sul peccato, trovando, a seconda dei casi e degli individui, una sua propria, seppur sempre differente, legittimazione. Così uomini in divisa costringono altri uomini in divisa alla paura, al terrore e alla negazione di se stessi, stando ben attenti ad evitare il confronto, sfruttando come unico contatto quello visivo, per sottolineare la sudditanza del prigioniero.
Il film percorre le tappe di una storia carica di tensione emotiva, che costringe lo spettatore a trattenere il fiato difronte ai primissimi piani di un esercito di bombe pronte ad esplodere. I volti puliti dei giovani prigionieri simboleggiano un intero popolo che, dopo aver messo l'Europa a ferro e fuoco, è stato costretto a richiamare alla leva ragazzini di tredici anni. Ci sono tutti i tipi umani: Vediamo Sebastian, perfetto leader, il cinico insofferente Helmut o i dolcissimi gemelli Ernst e Werner strappati ai sogni infantili per riscoprirsi affamati e impauriti in un mondo che desidera solo vederli morire.
La fotografia di un'ambientazione incantevole stride con i caratteri infernali di cui è imperniata la vicenda, in cui l'aridità degli animi si contrappone ai panorami mozzafiato di un deserto in riva al mare. Lo spettatore è in balìa di una narrazione ben costruita che genera una tensione costante, con una regia che predilige, il più delle volte, l'omissione alle immagini esplicite. La scelta di silenzi carichi d'intensità rafforza l'efficacia delle lunghe sequenze del film, con le musiche a fare
da contrappunto con brevi sonorità.
Ne risulta un'immagine di desolazione e impotenza, addolcita solo dal sergente Rasmussen, che riporta tutto ad un senso di rettitudine ammirevole grazie a una rinnovata empatia con i ragazzi. Il bagliore alla fine del tunnel, il confine con la Germania a poche centinaia di metri, risulterà però pretenzioso e un po' poco credibile laddove il cambio di tendenza sentimentale del capitano per i suoi prigionieri è un pretesto debole per il disgelo totale delle relazioni che conducono alla liberazione. Per un film che è riuscito a mantenere una linea lucida e realistica, il rischio era quello di scadere nella retorica, ma Zandvliet riesce a sublimare l'importanza degli sguardi dei ragazzi scomparsi a scapito delle parole dei superstiti, relegando la salvezza solo a un'anomalia.
Riccardo Supino
venerdì 25 marzo 2016
Guarda il Video: Homefront: The Revolution è Molto meglio di The division!!
02:11
No comments
Fonte Games.it
Uscita Prevista per il 20 maggio
Homefront: The Revolution inaugura oggi una serie di video gameplay dedicati alle caratteristiche del gioco. Il primo video si chiama Guerriglia 101 e viene accompagnato dal seguente comunicato che ci spiega le tecniche nel dettaglio.
Il primo di una serie di nuovi trailer di gameplay, il “Guerriglia 101” trailer per Homefront: The Revolution é adesso disponibile, e mostra il tipo di gameplay e la varietà di combattimenti che puoi trovare nella campagna single player del gioco e anche nel Resistance Mode online in co-op.
Di fronte alla superiorità delle forze tecnologiche del KPA che stanno occupando Philadelphia nel 2029, la Resistenza ha bisogno di combattere la sua Guerra per la liberazione alle sue condizioni. Le guerriglie urbane utilizzano la loro conoscenza dell’ambiente, le loro armi artigianali personalizzate e il Guerrilla Toolkit a loro vantaggio per uniformare le probabilità.
In qualità di combattente della Resistenza devi:
· MODIFICARE LE TUE ARMI A SECONDA DELLE ESIGENZE
Utilizza il sistema di personalizzazione delle armi in-game e on-the-fly per adattare le tue armi al tuo stile di gioco. Aggiungi un silenziatore per infiltrarti sotto la copertura delle tenebre in un ciclo giorno/note dinamico o procurati una baionetta per contrapporre un approccio silenzioso al rumore degli spari. Equipaggia diversi mirini ed obiettivi o differenti impugnature per passare dalla mobilità di breve raggio alla precisione di lunga portata.
· TRAFORMARE LE TUE ARMI PER UN UTILIZZO ON THE FLY
Trasforma la tua pistola in una mitragliatrice, il tuo fucile da assalto in un lanciatore di mine, la tua balestra in un lanciafiamme e molto altro ancora!
· USARE IL TUO GUERRILLA TOOLKIT PER FAR DIVENTARE IL COMBATTIMENTO OPEN WORLD NEL TUO TERRENO DI GIOCO TATTICO.
Utilizza device esplosivi e incendiari per tendere un’imboscata al KPA, distrai le pattuglie o agisci sulle telecamere dei nemici e sui droni per rivoltare la tecnologia dei nemici contro di loro. Modifica qualsiasi item del tuo Guerrilla Toolkit con un po’ di buon, vecchio, ingegno Americano; lancialo, innescalo, prepara una trappola, o mettilo in un R/C Car per prenderne il controllo diretto.
USARE IL TERRENO
Questa città é la tua città. Conosci il tuo ambiente per sapere da dove colpire e in quale direzione scappare. Nei centri di popolazione urbana della Yellow Zone, colpisci nell’invisibilità e scompari nei vicoli della città. Nella Red Zone di Philadelphia, devastata dalla guerra, colpisci duramente e in modo inaspettato e poi salta sulla tua moto per eludere gli inevitabili rinforzi del KPA
Guarda qui Demoni infernali e potenziamenti alle armi nel nuovo trailer di DOOM
00:56
No comments
Fonte
di Marco Procida
Si avvicina sempre più la data di inizio della closed beta di DOOM, cui avranno accesso i giocatori che hanno prenotato Wolfenstein: The New Order.
Bethesda ha pubblicato oggi un nuovo trailer per mostrare nuovi aspetti del gioco. Nel filmato di oggi vedremo demoni infernali, armi, power-up ed altri aspetti di questo frenetico shooter in prima persona.
Ricordiamo che la beta inizierà l'1 aprile e durerà fino al 4 dello stesso mese, mentre il gioco completo uscirà il 13 maggio su PC, PS4 e Xbox One.
giovedì 24 marzo 2016
BATMAN VS SUPERMAN: DAWN OF JUSTICE
15:49
No comments
Batman vs Superman: Dawn of Justice
di Zack Snyder
con Ben Affleck, Henry Cavill, Jeremy Irons
USA, 2016
genere, azione, avventura, fantastico, drammatico, fantascienza
durata, 151'
All’inizio fu solo polemica. A scatenarla l’idea di assegnare la parte di Batman a Ben Affleck al quale gli Oscar di "Argo" non erano bastati per cancellare il ricordo di Devil, preso di mira per la scarsa predisposizione al ruolo da parte dell’attore americano. A distanza di tempo e dopo aver visto "Batman vs Superman: Dawn of Justice" i fatti sembrano aver dato ragione ai produttori perché, favorito dall’espressività marmorea di Bruce Wayne e aiutato dall’aspetto leggermente attempato del personaggio che gli permette di rinnovare il proprio look, Affleck si dimostra a conti fatti all’altezza del compito. Ancor più in considerazione che, rivelandosi come l’ennesimo tripudio di computer graphic e sound design "Batman vs Superman" alla pari dei suoi colleghi è condizionato poco o niente dalle capacità del suo cast, come dimostra lo scarso peso di Amy Adams, prima della classe a cui nell’impersonare Lois Lane non serve nemmeno una briciola del proprio talento. Ma questa è un’altra storia i cui discorsi ci porterebbero lontano da quella filmata dalla cinepresa di Zack Snyder, per caso ma non troppo impegnato a dare credito a una vicenda che, tra le altre cose, arriva a macchiarsi di lesa maestà, mettendo alla sbarra niente di meno che Superman, chiamato a difendersi dall’accusa di agire per tornaconto personale.
Tenendo conto che da Watchmen – diretto dallo stesso Snyder - in avanti gli eroi non sono più così intoccabili e che, anche quando non muoiono hanno comunque il loro bel da fare a mantenersi lindi e pinti – Deadpool e Jeeg Robotdocent – "Batman vs Superman" si distingue sotto il profilo narrativo per adottare la modalità del crossover, termine preso in prestito dai fumetti per segnalare l’incrocio tra personaggi appartenenti a testate diverse ed eccezionalmente coinvolti nella medesima avventura. Giustificata dall’operato del cattivo di turno– Lex Luthor incarnato da Jesse Eisenberg ancora una volta alle prese con una personalità sociopatica - la contemporanea presenza di Batman e Superman coadiuvati da una new entry come Wonder Woman in realtà rappresenta una dichiarazione di guerra allo strapotere della Marvel che la Warner Bros ha deciso di giocare alla pari con gli avversari sia in termini di impegni finanziari che di tipologia produttiva, con una una serie di progetti, primo fra tutti The Justice League, vero e proprio clone dei più famosi Avengers già in fase di realizzazione.
In attesa che la sfida prenda quota Snyder si mette sulla scia di Nolan, prendendo in prestito le estetiche e la magniloquenza della trilogia dedicata all’uomo pipistrello per dare vita a un film magniloquente e cupo che estremizza i comportamenti di buoni e cattivi per dare vita a una palingenesi finale che al cinema non si era mai vista e di cui non anticipiamo nulla per non togliere allo spettatore il gusto della sorpresa. Per arrivarci il film si serve di un plot complicatissimo e, nella seconda parte, di un flusso ininterrotto d’immagini ad alto tasso sensoriale. Uno schema risaputo che non dispiacerà a più giovani e che invece rischia di deludere tutti gli altri.
Video: Dark Souls 3: SU XBOX ONE GIRERÀ A 30 FPS " MEGLIO SU PS4 60 FPS "
07:45
No comments
FONTE EUROGAMER.IT
di Thomas Morgan
Il lancio di Dark Souls 3 è previsto per il 12 aprile ma il gioco è già disponibile in Giappone e questo ci permette di vederlo girare su Xbox One. L'analisi di questa versione è in cantiere da tempo, e l'unico articolo che abbiamo realizzato finora sul gioco risale alla beta PS4. Finalmente possiamo esaminare le prestazioni del motore di From Software sull'hardware di Microsoft: la tecnologia è la stessa di Bloodborne, un'esclusiva PS4.
Eravamo curiosi soprattutto riguardo alla risoluzione. Bloodborne e Dark Souls 3 girano a 1080p su PS4 ma non vi erano certezze su altre macchine. La misurazione rivela che Xbox One utilizza una risoluzione ridotta a 1600x900, essenzialmente il 70% dei pixel generati da PS4.
Di conseguenza vi sono più sfarfallii tra la vegetazione dell'area montuosa iniziale, e in generale più pixel crawl sulle armi. Anche così, la versione Xbox One ha un aspetto notevole avvalendosi dell'AA, e ci siamo divertiti molto nel giocare le aree iniziali di Dark Souls 3. L'upscaling da 900p non inficia l'esperienza in maniera tangibile, anche se sospettiamo che PS4 o PC offriranno visuali più nitide.
Questo ci dà un'idea intrigante di come avrebbe potuto essere Bloodborne su altri formati. Purtroppo su Xbox One sono approdati anche alcuni dei problemi noti del motore, come ad esempio la distribuzione dei fotogrammi; su console Dark Souls 3 punta a 30fps con sincronia verticale ma ancora una volta vediamo che il motore produce fotogrammi ordinati in maniera irregolare. Anche se la media è di 30fps, vengono percepiti degli scatti a causa di molti fotogrammi unici seguiti da più duplicati.
La situazione non è ideale, anche se ce lo aspettavamo dopo aver esaminato la beta PS4. La nostra preoccupazione principale per la versione Xbox One riguarda comunque il frame-rate. Nella sezione iniziale abbiamo rilevato 25fps per periodi prolungati, a causa della nebbia volumetrica ampiamente utilizzata attorno alle alture di quest'area. Gli scontri con i boss producono intoppi simili e il frame-rate cala addirittura quasi fino a 20fps in occasione dei combattimenti su larga scala sull'High Wall of Lothric.
Per fortuna la media dei 30fps viene mantenuta per la maggior parte della sezione di Lothric, e Xbox One fatica solo in questi punti isolati. Nei prossimi giorni esamineremo anche la versione PS4 e sarà interessante poter inserire in un contesto più ampio questi rallentamenti e verificare se il profilo prestazionale della console di Sony sia simile. Le funzioni grafiche sono più o meno come le ricordavamo dai tempi della prova di tre giorni della versione PS4, ma resta da vedere come risulteranno le tre versioni in un confronto più approfondito.
Vi proporremo presto un esame completo di entrambe le versioni console. Per ora è sorprendente vedere che il motore di Bloodborne regge bene su Xbox One, dopo un'anno di esclusività per la console di Sony. Questa versione potrà anche proporre una risoluzione nativa di 900p ma dall'analisi iniziale il motore risulta è abbastanza flessibile da adattarsi alle necessità di ciascuna console.
mercoledì 23 marzo 2016
VIDEO: FALLOUT 4 DLC #AUTOMATRON PS4 WALKTHROUG PT 2 " CACCIATORI DI TESTE "
06:21
No comments
CIAO RAGAZZI
LA VIDEO GUIDA PROCEDE BENE, DA COME VEDRETE DAL VIDEO PUBBLICATO. HO POTENZIATO IL ROBOT " ADA " MA APPENA TROVO QUALCHE ALTRO PEZZO DI RICAMBIO LA POTENZIERÒ ULTERIORMENTE PER RENDERLA SEMPRE PIÙ FORTE!! RESTATE COLLEGATI SUL MIO CANALE GAMEPLAYS1973CHANNEL " ISCRIVETEVI AL CANALE :-) "
LA MACCHINAZIONE
05:35
No comments
La macchinazione
di David Grieco
Massimo Ranieri, Libero de Rienzo, Roberto Citran, Matteo Taranto
Italia, 2016
genere, drammatico, thriller, biografico
durata, 100'
Ci sono titoli di film più efficaci di altri. Quello utilizzato da David Grieco per tornare a parlare dei misteri che si celano dietro l’omicidio di Pier Paolo Pasolini appartiene di diritto a questa categoria. Sul piano commerciale il richiamo al complotto che armò le mani dei carnefici ha infatti il pregio di chiarire le caratteristiche di un’offerta che nel ricostruire secondo il punto di vista del regista gli ultimi giorni dell’intellettuale friulano si presenta nelle vesti di una vero e proprio thriller, accumulando i pezzi del suo mosaico con il ritmo e la tensione tipici di un percorso esistenziale – quello di Pasolini – sospeso tra la vita e la morte. Su quello dei contenuti invece "La macchinazione" attraverso il sostantivo in questione sintetizza come meglio non si potrebbe la coincidenza tra l'argomento del libro – Petrolio - di cui come vediamo nel corso del film Pasolini si stava occupando prima di morire e che appunto riguardava la scoperta delle manovre ordite a discapito del paese da parte di un sistema di potere occulto e colluso e, in senso opposto, la reazione delle persone che si sentivano minacciati da quelle rivelazioni, culminata per l'appunto nel piano organizzato per uccidere Pasolini facendone ricadere la colpa su Pino Pelosi, la cui colpevolezza è definitivamente smontata dai fatti messi in scena nel film.
Sulla complessità di una ricognizione intorno alla figura di Pasolini è inutile dire. A testimoniarlo basterebbe la circospezione con cui il cinema si è preso cura di rimuovere gli aspetti legati al pensiero e alla creatività dell’artista, appena lambiti da resoconti interessati più che altro ad approfondirne i dettagli scandalosi e cronachisti del privato, quelli che nell’affermazione della sua libertà d’uomo e d'artista gli costarono la vita. Oltre a questo il film di Grieco doveva mettere in conto il rischio di arrivare fuori tempo massimo rispetto alla rappresentazione di un periodo storico – a cavallo tra i sessanta e i settanta - diventato nel corso degli anni uno dei paesaggi privilegiati dal filone del crime movie nostrano.
"La macchinazione" risponde a queste sollecitazioni nel segno di un’eccezionalità che investe non solo la materia investigativa, mai come questa volta così precisa nel fare nomi e cognomi della rete cospirativa che fu coinvolta nell’uccisione di Pasolini ma anche nelle diverse componenti della messinscena che si avvale tra l’altro dell’interpretazione mimetica di Massimo Ranieri volutamente tradita dalla decisione di continuare a parlare con il proprio timbro linguistico e non con quello proprio delle zone del nord est italico e di una colonna sonora firmata dai mitici Pink Floyd presenti tra l’altro con la celeberrima Atom Heart già negata allo Stanley Kubrick di "Arancia Meccanica" e qui essenziale nel restituire con la sue acide sonorità il viaggio all’inferno del protagonista. L’opzione divulgativa operata sulla materia narrativa sacrifica qualcosa alla profondità dei caratteri e degli ambienti ma alla lunga la passione con cui Grieco si rivolge al suo personaggio, ritratto in maniera più dolorosa che vitale a testimonianza della consapevolezza che Pasolini nutriva rispetto agli orizzonti della propria esistenza, e finanche la qualità delle singole interpretazioni tra cui oltre a quella di Ranieri vale la pena di ricordare la straordinaria performance di Matteo Taranto nel ruolo del ferino e malavitoso Sergio, riescono a colmare le mancanze di un film importante e necessario.
Notizia per i Fan Arriva un nuovo Jak and Daxter Ps4
00:03
No comments
Fonte Gamesurf
Read the news in English
Manca, ovviamente, una conferma ufficiale, ma stando a quanto pubblicato da Andrew Kim su ArtStation, Jak and Daxter potrebbe tornare a nuova vita. Per chi non lo conoscesse, Andrew Kim è un artista freelance che ha già lavorato a numerose produzioni cinematografiche e videoludiche, del calibro di Ant Man, Thor: The Dark World, Captain America The Winter Soldier, God of War 3 e Uncharted 3. Insomma, parliamo di un nome piuttosto conosciuto nell'ambiente che non presenta quasi mai cose per caso. Staremo a vedere.
martedì 22 marzo 2016
10 FESTIVAL DI ROMA - TRUTH
05:29
No comments
Truth
di James Vanderbilt
con Robert Redford, Cate Blanchett, Dennis McQuaid
Usa. 2015
A differenza di altri Paesi, in quelli di matrice anglosassone l'egida morale è ancora qualcosa che attiene al giornalismo. Una dimensione etica che appartiene tanto alla versione dei fatti quanto alla loro pubblicazione; senza dimenticarsi del principio di tutto e quindi della notizia stessa che, per essere tale, deve nascere e svilupparsi in un contesto di indispensabile verità. Ed è proprio all'interno di questi pilastri dell'informazione che si muove la storia di "Truth", il film di James Vanderbilt che ha inaugurato la decima edizione della Festa del cinema di Roma con il racconto della vicenda di Mary Mapes e Dan Rather, rispettivamente produttrice e anchorman di 60 minutes, il programma d'inchiesta giornalistica della CBSche, alla vigilia delle elezioni del 2004 denunciò gli illeciti di cui si sarebbe reso colpevole il presidente in carica George Bush quando, durante la guerra del Vietnam evitò il fronte, riparando nelle fila della Guardia Nazionale. Il clamore dello scoop non dipendeva dalla gravità dei contenuti ma piuttosto dal tempismo della sua uscita, che rischiava di vanificare il vantaggio con il quale Bush aveva fin li distanziato il rivale John Kerry, messo in crisi dalle voci che ne avevano messo in discussione il valore militare tributatogli per le missioni in terra vietnamita.
Ma la particolarità di "Truth" non è quella di presentare l'indagine compiuta dalla Mapes e dalla squadra di giornalisti che diedero corpo alle prove di quell' accusa. O per dirla meglio, non solo. Perché il film di Vanderbilt è in parte anche questo, quando, durante il primo inserto di film ci mostra alla maniera di un classico come "Tutti gli uomini del presidente" le varie fasi dell'investigazione, filmate con il susseguirsi di alti e bassi che almeno al cinema, rendono il mestiere di giornalista uno dei più pericolosi e stressanti che si conoscano. A fare la differenza invece, è la scelta da parte della sceneggiatura di occuparsi delle conseguenze scaturite dagli effetti della trasmissione televisiva, quando la veridicità dei documenti forniti dalla Mapes per comprovare la sua tesi fu sconfessata da una serie di perizie che al contrario e in maniera definitiva ne accertarono l'improbabilità. Lasciando agli storici l'ultima parola sull'esistenza o meno dei presunti favoritismi di cui Bush avrebbe goduto, quello che interessa a "Truth" è di entrare nel cuore della questione di cui accennavamo all'inizio, mostrando attraverso il dramma dei due protagonisti quanto sia alto il prezzo da pagare per mantenere fede ai principi della deontologia professionale. Per mostrarlo nella sua brutale evidenza il regista ribalta le posizioni di partenza, mettendo i buoni sul banco degli imputati e facendo dei rappresentanti dello schieramento opposto - presenti nella commissione interna convocata dalla CBS per vagliare l'operato dei propri sottoposti e formata da elementi di fede repubblicana - gli arbitri della loro destino lavorativo.
Il cambio di direzione produce uno scarto anche in termini cinematografici, con lo stile da reporterd'assalto messo in mostra nel primo arco di film, progressivamente assorbito da un andamento più meditato, in cui "Truth" attraverso il tormento e la disillusione dei suoi personaggi riflette sul senso di un mestiere che mette in gioco i valori dell'individuo ma anche sui limiti stessi della democrazia americana. Con molto pragmatismo l'esordiente Vanderbilt confeziona un prodotto che non si prende alcun rischio ne in termini di scrittura, organizzata su una solida applicazione degli stilemi di genere, ne in termini di recitazione, assicurata dal raffinato manierismo di due attori come Cate Blanchet e Robert Redford, impegnati a rifare se stessi e i ruoli che li hanno resi famosi. Ciononostante rispetto alla prima veneziana quella di Roma è un esordio ben più felice.
(pubblicata su ondacinema.it)
di James Vanderbilt
con Robert Redford, Cate Blanchett, Dennis McQuaid
Usa. 2015
genere, biografico, drammatico
durata, 125'
A differenza di altri Paesi, in quelli di matrice anglosassone l'egida morale è ancora qualcosa che attiene al giornalismo. Una dimensione etica che appartiene tanto alla versione dei fatti quanto alla loro pubblicazione; senza dimenticarsi del principio di tutto e quindi della notizia stessa che, per essere tale, deve nascere e svilupparsi in un contesto di indispensabile verità. Ed è proprio all'interno di questi pilastri dell'informazione che si muove la storia di "Truth", il film di James Vanderbilt che ha inaugurato la decima edizione della Festa del cinema di Roma con il racconto della vicenda di Mary Mapes e Dan Rather, rispettivamente produttrice e anchorman di 60 minutes, il programma d'inchiesta giornalistica della CBSche, alla vigilia delle elezioni del 2004 denunciò gli illeciti di cui si sarebbe reso colpevole il presidente in carica George Bush quando, durante la guerra del Vietnam evitò il fronte, riparando nelle fila della Guardia Nazionale. Il clamore dello scoop non dipendeva dalla gravità dei contenuti ma piuttosto dal tempismo della sua uscita, che rischiava di vanificare il vantaggio con il quale Bush aveva fin li distanziato il rivale John Kerry, messo in crisi dalle voci che ne avevano messo in discussione il valore militare tributatogli per le missioni in terra vietnamita.
Ma la particolarità di "Truth" non è quella di presentare l'indagine compiuta dalla Mapes e dalla squadra di giornalisti che diedero corpo alle prove di quell' accusa. O per dirla meglio, non solo. Perché il film di Vanderbilt è in parte anche questo, quando, durante il primo inserto di film ci mostra alla maniera di un classico come "Tutti gli uomini del presidente" le varie fasi dell'investigazione, filmate con il susseguirsi di alti e bassi che almeno al cinema, rendono il mestiere di giornalista uno dei più pericolosi e stressanti che si conoscano. A fare la differenza invece, è la scelta da parte della sceneggiatura di occuparsi delle conseguenze scaturite dagli effetti della trasmissione televisiva, quando la veridicità dei documenti forniti dalla Mapes per comprovare la sua tesi fu sconfessata da una serie di perizie che al contrario e in maniera definitiva ne accertarono l'improbabilità. Lasciando agli storici l'ultima parola sull'esistenza o meno dei presunti favoritismi di cui Bush avrebbe goduto, quello che interessa a "Truth" è di entrare nel cuore della questione di cui accennavamo all'inizio, mostrando attraverso il dramma dei due protagonisti quanto sia alto il prezzo da pagare per mantenere fede ai principi della deontologia professionale. Per mostrarlo nella sua brutale evidenza il regista ribalta le posizioni di partenza, mettendo i buoni sul banco degli imputati e facendo dei rappresentanti dello schieramento opposto - presenti nella commissione interna convocata dalla CBS per vagliare l'operato dei propri sottoposti e formata da elementi di fede repubblicana - gli arbitri della loro destino lavorativo.
Il cambio di direzione produce uno scarto anche in termini cinematografici, con lo stile da reporterd'assalto messo in mostra nel primo arco di film, progressivamente assorbito da un andamento più meditato, in cui "Truth" attraverso il tormento e la disillusione dei suoi personaggi riflette sul senso di un mestiere che mette in gioco i valori dell'individuo ma anche sui limiti stessi della democrazia americana. Con molto pragmatismo l'esordiente Vanderbilt confeziona un prodotto che non si prende alcun rischio ne in termini di scrittura, organizzata su una solida applicazione degli stilemi di genere, ne in termini di recitazione, assicurata dal raffinato manierismo di due attori come Cate Blanchet e Robert Redford, impegnati a rifare se stessi e i ruoli che li hanno resi famosi. Ciononostante rispetto alla prima veneziana quella di Roma è un esordio ben più felice.
(pubblicata su ondacinema.it)
Iscriviti a:
Post (Atom)