L'abbiamo fatta grossa
di Carlo Verdone
con Carlo Verdone, Antonio Albanese, Anna Kasian, Francesca Fiume
Italia, 2016
genere: commedia
durata: 112'
Arturo è un investigatore privato costretto a inseguire i gatti scappati dalle case altrui e ad abitare presso una vecchia zia con il mito del marito defunto. Yuri è un attore di teatro che, da quando la moglie l'ha lasciato, non ricorda più le battute: dunque si ritrova disoccupato e senza un soldo. Le strade di Arturo e Yuri si incontrano quando l'attore chiede all'investigatore privato di pedinare per lui l'ex moglie e il suo nuovo compagno. Quando i due macapitati, invece di registrare una conversazione fra i due innamorati, intercettano un dialogo ambiguo e fuorviante, le cose si ingarbugliano e si innesca un gioco di equivoci, che costringerà la copia a rocambolesche avventure e improbabili travestimenti.
Un cinema che nasce dall’osservazione comica della realtà e dalla costruzione puntuale, ironica e affettuosa di caratteri, in cui riconoscere il vicino di casa, il salumiere o il coatto che orgogliosamente attraversa epoche e generazioni, non può mai rimanere uguale a se stesso.
Per questo, da trentasette anni Carlo Verdone si premura di cambiare scenario, inventando personaggi attanagliati da angosce sempre diverse, perseguitati da scocciatori sempre diversi, afflitti da viziacci sempre diversi.
Ora, è una verità universalmente riconosciuta che, rispetto al 1979, la nostra società sia meno interessante, più squallida e anche più cattiva, e quindi è logico che il regista romano abbia abbandonato da tempo i grandiosi Enzo, Ruggero, Mimmo, eccetera di "Bianco, rosso e Verdone" e "Un sacco bello", assestandosi su uomini più normali spesso accomunati da quell’ipocondria e malinconia di fondo che così inconfondibilmente gli appartengono.
Detto questo, bisogna ammettere che, "Posti in piedi in paradiso" a parte, le ultime commedie verdoniane tendevano a fotografare spesso una sola anima della nostra Italia: quella borghese, raccontata attraverso gli occhi di un Candide a volte ancora ingenuo, altre più disilluso, altre ancora reso scaltro da necessità economiche o familiari.
Confrontato con queste commedie, "L’abbiamo fatta grossa" è un film nuovo, di rottura, un'opera che si prende, per esempio, il rischio di abbandonare camere e cucine per inoltrarsi fra le strade di una Roma poco frequentata dal cinema, città pasoliniana e nello stesso tempo un po' francese e un po' alla Woody Allen che la fotografia di Arnaldo Catinari magnificamente esalta.
Laddove, però, il regista osa di più, è nella scelta di avere come coprotagonista del suo venticinquesimo film, Antonio Albanese.
Vedendo insieme i due attori, la prima impressione che si ha è che sia un buon connubio, ma non perfettamente. La comicità realista di Verdone, infatti, non sempre è in sintonia con la recitazione funambolica e fisica di Antonio Albanese. E se entrambi, singolarmente, sono in grado di cogliere e riprodurre il ridicolo di una situazione o di un personaggio, non sempre nei duetti esaltano l’uno il talento dell’altro, con il risultato che il primo rischia di apparire sottotono e il secondo sopra le righe, in particolare nelle scene più quiete: le sequenze in cui semplicemente si parla e ci si muove poco.
Quando invece c’è da scappare o restituire refurtive, il binomio è travolgente, e la comune goffaggine, insieme alla furbizia e alla perizia nel riprodurre i dialetti italiani, produce effetti portentosi. Giustamente, Verdone non vuole guidare troppo Albanese, che è un condensato di pura energia, ma, in questo modo, forse, non fa emergere quel suo lato poetico così mirabilmente sfruttato da Francesca Archibugi in "Questione di Cuore" o da Silvio Soldini in "Giorni e nuvole".
Dei due personaggi, che hanno in comune il fallimento matrimoniale e professionale, quello dominante è lo Yuri Pelagatti di Albanese, che si avvia verso il recupero della propria dignità e che si muove tra faccia tosta e tenerezza.
A metà fra il bravo ragazzo che vive con un’anziana parente e un venditore di fumo che ammicca a Manuel Fantoni, Arturo Merlino, invece, un po’ si perde, prigioniero di una rabbia forse immotivata e di una pietas che con il passare del tempo gli è venuta a mancare.
Nonostante tutte le differenze che sussistono tra loro, siamo certi che i due cominci hanno cominciato un sodalizio destinato a durare nel tempo: o almeno questa è la nostra speranza.
Riccardo Supino
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