Girl
di Lucan Dhont
con Victor Polster, Victor Polster e Arieh Worthalter.
Belgio, 2018
genere,drammatico
durata, 105'
Lara è una ragazza di quindici anni che vive nel corpo di un ragazzo. Il suo sogno è quello di diventare una ballerina di danza classica e per rimanere aggrappata al suo sogno si impegna più di chiunque altro. Ciò significa nascondere la sua vera natura a tutte le persone che la circondano, spesso con difficoltà e sofferenza date anche le numerose angherie, alcune più celate, altre meno, che è costretta a subire da parte delle compagne, sia di danza che di scuola. Fortunatamente può contare sulle cure amorevoli del padre, costantemente di supporto in ogni situazione, pronto a lasciar perdere qualsiasi cosa pur di aiutare in qualche modo la figlia. In primis lo dimostra con la costante presenza ad ogni visita medica di Lara, ma è soprattutto il modo di porsi nei confronti della figlia che lo rende così vicino dal punto di vista empatico.
Attraverso il percorso intrapreso da Lara, fin dal primo istante lo spettatore sembra comprendere a fondo ciò che la protagonista prova. L’abilità del giovanissimo attore, classe 2002, risiede proprio nella capacità,, di trasmettere delle emozioni vere e sincere attraverso un semplice sguardo.
Victor Polster è l'attore (e ballerino) belga in questione, il quale, aiutato in parte dal proprio volto con tratti androgini, ha il complesso compito di interpretare Lara.
Il modo in cui Lukas Dhont, regista al suo debutto, riesce a raccontare una storia del genere è da premiare. Dal punto di vista tecnico Dhont compie delle scelte ben precise come la decisione di concentrarsi sul volto della giovane e su ciò che quel volto può ed è in grado di raccontare. Ma anche l’insistenza sui piedi martoriati dal duro lavoro al quale la giovane si sottopone quotidianamente e costantemente, per rimanere al passo con gli altri nella scuola di danza, è un segnale molto chiaro. L’attenzione non deve essere posta solo e soltanto sull’idea e l’idealizzazione del corpo che vorrebbe Lara, ma sulla persona che è in sé. Il regista ci mostra l’inizio del cambiamento, ciò che vede e prova Lara, ciò che vedono e pensano gli altri, quasi con pudore, non andando mai oltre il confine dell’intimità personale.
Poco o nulla si sa del passato della protagonista (soltanto in un frangente il fratello minore si rivolge a Lara chiamandola con quello che, con molta probabilità, era il suo nome: Victor) e questo ci permette, ancor di più, di vivere appieno le sensazioni di Lara, viaggiando (perché è di una sorta di viaggio che si parla) insieme a lei.
Per chiudere il cerchio il fatto che il sogno di Lara sia quello di diventare una ballerina di danza classica è emblematico, dal momento che la danza (e quella classica in primis) rappresenta il canone della bellezza e della femminilità per eccellenza. La situazione che lei vive è accentuata in maniera netta ed evidente proprio da questa sua decisione che la porta inevitabilmente a scontrarsi con la dura realtà e a dover fronteggiare numerosi ostacoli. Significativa, inoltre, soprattutto a livello percettivo ed empatico, la decisione di non calcare troppo la mano con la musica in sottofondo, nonostante una delle tematiche principali sia proprio la danza che richiede necessariamente l’utilizzo del mezzo musicale. I lunghi silenzi che accompagnano i primi piani di Lara hanno il compito di cercare di scavare oltre l’apparenza e sembrano voler far sì che il pubblico possa immedesimarsi nella protagonista per capire cosa si prova realmente a vivere in un corpo che non ci appartiene.
Veronica Ranocchi
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