Ben and Mickey vs. the dead/The battery
di, Jeremy Gardner
con, Jeremy Gardner, Adam Cronheim, Alana O’Brien, Niels Bolle
genere, horror
USA 2012
durata, 100’
The world drips down like gravy
the thoughts of love so hazy
Everyone’s ideal of fun…
- Dinosaur jr -
Devi rassegnarti al fatto che questa è la tua vita, adesso, dice compassato Ben al più che perplesso Mickey durante un intervallo tra… un’incursione zombie e l’altra. Perché propriamente è questa - al di là della ricerca di un’eventuale originalità stilistica - la cifra espressiva predominante (e per lo più efficace) di un piccolo e, nonostante il tema, scanzonato film come “Ben and Mickey vs. the dead/The battery”, a cura di Jeremy Gardner, regista nonché sceneggiatore e protagonista nei succitati panni di Ben: vale a dire lo studio evenementale ma preciso di particolari aspetti di due caratteri tutt’altro che complementari all’interno di un contesto tanto straordinario quanto in potenza letale, dosando con arguzia e senso dell’umorismo tipicamente yankee registri che contemplano sfumature drammatiche, comiche, intimiste, grottesche, et.
Mickey/Cronheim (esterno laterale in una squadra di baseball minore), tipo di fondo introverso, incline all’autocommiserazione, poco comunicativo e ancor meno partecipe (passa buona parte delle giornate con grosse cuffie alle orecchie, alternando in un lettore portatile - da segnalare la colonna sonora a base di inquiete indolenze e calibrate dissonanze opera di Rock Plaza Central, Wise Blood, Sun Hotel, We are Jeneric - CD che mano mano reperta nelle abitazioni evacuate in tutta fretta nell’imminenza del passaggio delle fameliche orde), reagisce all’insolita precarietà del suo quotidiano blindandosi nell’illusorio romanticismo che presume lo leghi ancora all’ultima conoscenza femminile pre-catastrofe (con ogni probabilità travolta dagli eventi), tra l’altro in via ulteriore alimentato (e, tutto sommato, scientemente frainteso) al momento d’intercettare su un canale radio la voce della misteriosa Annie/O’Brien che lo invita invece e in modo nemmeno tanto sibillino a starle alla larga, traslando in tal modo il personale rifiuto di uno stato-delle-cose che, oltre a spaventarlo nell’intimo, riconosce essere al di sopra delle proprie forze e, soprattutto, del proprio temperamento.
Al contrario, Ben (catcher di riserva nella medesima formazione), corpulento, gran barbone fulvo, beatlesiano di ferro, pistola alla cintola e mazza regolamentare sempre a portata di mano, stipa il suo di zaino di tutto ciò che può essere utile alla sopravvivenza (apriscatole, posate, una torcia, cordame, una coperta, qualche capo di vestiario rimediato, medicinali di primo soccorso, utensili da lavoro, et.) ma sopra ogni altra cosa adatta con apparente disinvoltura comportamento e temperatura emotiva ai codici d’un pragmatismo tassativo in grado da solo di ridurre qualunque rimostranza a zero, dando l’impressione, allo stesso tempo, d’aver circoscritto con lucidità il campo esperienziale da cui attingere risorse utili per ipotizzare un futuro. Non è un caso, infatti, che durante uno dei tanti soggiorni forzati all’aperto - simile in tutto e per tutto alla più classica vacanza-tra-amici-nei-boschi (ci troviamo negli Stati Uniti nord-orientali, da qualche parte del New England), non fosse che a una svolta, ai margini d’una radura, in un angolo di una casa di primo acchito tranquilla, niente esclude possa fare capolino l’andatura sbilenca e il borbottio ringhiante d’un manipolo di strane creature affamate - Ben sottolinei al compagno, con un qual sardonico distacco, l’unico motivo, a suo dire, che ancora li tiene in vita, tra coloro cioè, a ben vedere, che possono ancor permettersi il lusso (vedi Mickey) di fare l’elenco delle stanchezze e delle privazioni che li tormentano: Sai perché gli squali sopravvivono da oltre 400 milioni di anni ? Perché si muovono, non stanno mai fermi. Noi dobbiamo essere come gli squali, se vogliamo sopravvivere. Quindi non chiedermi dove stiamo andando esattamente. Quello che dobbiamo fare è muoverci, come gli squali.
Se il tema del viaggio figura a buon diritto tra gli archetipi dell’immaginario americano, si può dire con ragionevole approssimazione che quello della coabitazione forzata rappresenta uno dei suoi sottoprodotti di lavorazione di più affidabile utilizzo da parte del comparto dei generi, in particolare quello avventuroso. Anche nel nostro caso, i due protagonisti - lo smilzo e il robusto, l’introverso e il quasi ciarliero, l’indeciso e lo spiccio, et. - a riprova della stretta correlazione esistente nel Cinema a stelle e strisce tra ambiente naturale, equilibrio psicologico dei personaggi e modificazione dei reciproci rapporti interpersonali, inscenano, su uno sfondo orrorifico che si sostanzia per l’appunto più per la presenza d’un paesaggio trionfante nella sua ritrovata irriducibilità primigenia (si pensi, per dire, rimanendo in ambiti simili e recenti, alla di lui accezione brutale sottolineata in “Backcountry” di A. MacDonald - 2014 - a quella metaforico-straniata presente in “The strange ones” di C.Radcliffe/L.Wolkstein - 2017 - o, ancora, a quella falsamente idilliaca in “Les affamès” di R.Aubert - 2017 -) per la pressione costante esercitata dall’esposizione a una minaccia imprevedibile che si riversa pressoché intatta nella nervosa ordinarietà di molte linee di dialogo, che per l’effettiva consistenza dell’insidia zombie (ingegnosamente, quantunque più che altro per motivi legati a mezzi risicatissimi, tarata sull’escamotage originario della deambulazione stentata, ossia ricondotta al ruolo di avversario temibile per numero e per l’elemento sorpresa quanto piuttosto facile da abbattere se affrontata a mo’ di singoli faccia a faccia), una sfiziosa variazione all’interno dello schema narrativo del buddy movie, in cui l’eccezionalità delle circostanze origina sia, in superficie, il contraddittorio, con tutte le gradazioni del sarcasmo e del paradossale; sia, a un livello più profondo, il progressivo rivelarsi dell’indole autentica di ciascun elemento della coppia (quasi estranei, quasi amici) una volta messo a confronto con l’istanza primaria dell’autoconservazione, in un saliscendi emotivo genuino e diretto che è la spezia nascosta del lavoro di Gardner, a sua volta resa ancor più sapida dal lungo assedio finale, durante il quale tanto Ben che Mickey sarà costretto a misurare senza più mediazioni i limiti del proprio agire su quello dell’altro.
TFK
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