Hostiles
Così, se la parte più debole del film è quella in cui l'auspicabile riconciliazione tra le parti sociali si traduce in una svolta pacifista - seppur temporanea - un po' troppo meccanica da parte del protagonista, lo scarto decisivo si ha nell'abilità di regista e attori di far vivere l'intero spettro emozionale e la profonda afflizione che contraddistingue l'excursus esperienziale dei protagonisti. Cooper è bravo soprattutto ad alternare gli stati d'animo, creando un flusso emotivo in cui i momenti di stasi diventano il periodo di incubazione necessario a rendere coerente i tormenti e le esplosioni di rabbia da parte di Blocker. Bravo a coniugare la maestosità del paesaggio naturale e gli spazi sconfinati della frontiera americana con l'interiorità delle figure che lo attraversano; capace di conferire nuovo vigore visivo a immagini che altrimenti apparirebbero già viste e scontate (si veda per esempio la scelte operate nella sequenza conclusiva improntata a una compostezza quasi metafisica), "Hostiles" può contare sulla stilizzazione pittorica della fotografia di Masanobu Takayanagi e sulla performance da Oscar di uno straordinario Christian Bale, il quale, insieme a Russell Crowe si conferma in cima alla classifica degli attori drammatici più dotati della sua generazione. Se poi volessimo fare un plauso alla regia di Cooper, cineasta non sempre considerato come invece dovrebbe, diremmo che la sua nuova fatica ricorda sotto molti punti di vista il Villeneuve di "Prisoners". Tanto per dire della stima che nutriamo nei confronti del suo film.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)
di Scoot Cooper
con Christian Bale, Rosemund Pike
USA, 2017
genere, western, drammatico
durata,127'
Il film di Scott Cooper si apre con una frase di D. H. Lawrence il cui tema verte sull'insopprimibile istinto di violenza della nazione americana. Un frammento che torna utile al regista di "Hostiles" per certificare se mai non bastassero i fatti della storia recente per rendere credibile il dolore che investe il paesaggio delle sue cronache. Più di "Black Mass" il suo nuovo film sembra tornare ai luoghi (la provincia americana) e alle atmosfere (tragiche, come quelle di un pièce shakespeariana) che avevano scandito la "mattanza" di "Out of Fornace". Curiosamente però, a differenza del modello originale e a fronte di una prima parte segnato da un'incontrovertibile spirale di violenza, "Hostiles" riesce ad arrivare alla fine senza sconfessare le sue premesse, ma comunque consegnando allo spettatore un inaspettato messaggio di speranza. Senza svelare di più della trama, lasciando a chi legge il piacere di farlo quando il film arriverà - ci auguriamo - nei cinema, basti l'accenno alla sequenza iniziale, destinata a gravare per l'efficacia della sua messinscena. Pur con l'accortezza di un montaggio che spezza la continuità dei gesti e nella distanza di sicurezza offerta dalle riprese in campo lungo, nel quadro della telecamera Cooper mette insieme la rappresentazione del dolore più indicibile, facendocelo vivere attraverso gli occhi di Rosalie (Rosamund Pike), la moglie dell'uomo e la madre dei tre bambini uccisi dalla follia omicida di una banda di Cheyenne. Siamo nell'America del 1892 impegnata a costruire la mitologia della propria fondazione e, quindi, ancora scoperta rispetto alla capacità retorica che successivamente gli avrebbe permesso di legittimare agli occhi dell'opinione pubblica i misfatti della sua politica espansionistica. In "Hostiles" dunque ogni aspetto del racconto parte da uno stato atavico e istintivo, a cominciare dalla personalità combattuta e ferina del capitano dell'esercito Joe Blocker, incaricato di scortare il nemico indiano sulla strada che gli permetterà di morire nella terra natia, e costretto dalle circostanze (la carovana di cui a un certo punto farà parte anche Rosalie deve difendersi dagli attacchi di altri indiani e di alcuni cani sciolti) a venire a patti con chi un tempo gli aveva ucciso amici e colleghi. Per continuare con la struttura del narrato, organizzata secondo le tappe di un viaggio che, nella migliore tradizione del cinema americano, si trasforma presto in un percorso esistenziale in cui le ferite dell'anima contano di più di quelle del corpo, e dove i vari personaggi trovano il modo di mondarsi una volta per tutte dai propri peccati. Se, anche "Hostiles", come quasi sempre succede quando s'interroga il passato per parlare del presente (così aveva fatto per esempio a Venezia George Clooney in "Suburbicon"), con lo scontro fratricida tra contendenti che, almeno sulla carta, dovrebbero sottostare alle medesime leggi e riconoscere lo stesso presidente, e, ancora, con la discriminazione e l'oppressione dei più forti nei confronti delle minoranze sono ispirati a quello che sta succedendo negli Stati Uniti a guida repubblicana, ciò che risulta decisivo per le sorti del film è la capacità del regista di rimanere all'interno del genere, pur facendolo con la coscienza e la sensibilità di un cineasta dei nostri giorni.
Così, se la parte più debole del film è quella in cui l'auspicabile riconciliazione tra le parti sociali si traduce in una svolta pacifista - seppur temporanea - un po' troppo meccanica da parte del protagonista, lo scarto decisivo si ha nell'abilità di regista e attori di far vivere l'intero spettro emozionale e la profonda afflizione che contraddistingue l'excursus esperienziale dei protagonisti. Cooper è bravo soprattutto ad alternare gli stati d'animo, creando un flusso emotivo in cui i momenti di stasi diventano il periodo di incubazione necessario a rendere coerente i tormenti e le esplosioni di rabbia da parte di Blocker. Bravo a coniugare la maestosità del paesaggio naturale e gli spazi sconfinati della frontiera americana con l'interiorità delle figure che lo attraversano; capace di conferire nuovo vigore visivo a immagini che altrimenti apparirebbero già viste e scontate (si veda per esempio la scelte operate nella sequenza conclusiva improntata a una compostezza quasi metafisica), "Hostiles" può contare sulla stilizzazione pittorica della fotografia di Masanobu Takayanagi e sulla performance da Oscar di uno straordinario Christian Bale, il quale, insieme a Russell Crowe si conferma in cima alla classifica degli attori drammatici più dotati della sua generazione. Se poi volessimo fare un plauso alla regia di Cooper, cineasta non sempre considerato come invece dovrebbe, diremmo che la sua nuova fatica ricorda sotto molti punti di vista il Villeneuve di "Prisoners". Tanto per dire della stima che nutriamo nei confronti del suo film.
(pubblicata su ondacinema.it)
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