sabato 30 settembre 2017

CHI M'HA VISTO

Chi m'ha visto
di Alessandro Pondi
con Beppe Fiorello, Pierfrancesco Favino, Sabrina Impacciatore
Italia, 2017
genere, commedia
durata, 105'


Quasi sempre chi scrive di cinema tende ad assegnare un valore negativo a tutti quei film che in qualche modo si fanno promotori di estetiche e contenuti di stampo televisivo. Ora, fermo restando che il livello di qualità raggiunto da certi prodotti realizzati per il piccolo schermo impone una riflessione più articolata e magari la formulazione di nuove e più efficaci categorie di giudizio, non c'è dubbio che almeno in Italia, soprattutto all'interno di un genere popolare come quello della commedia, persista la volontà di replicare, più o meno pedissequamente, formule che sono tipiche delle fiction italiane. Sorvolando sulle ragioni di questa scelta, più volte affrontate e perciò note alla maggior parte dei lettori, ciò che interessa in questa sede è constatare se, di volta in volta, esistano spostamenti in avanti rispetto alla media dei prodotti appartenenti alla categoria in questione. Senza pretendere di farlo, "Chi m'ha visto", opera prima di Alessandro Pondi, ha il merito di giocare a carte scoperte, non facendo nulla per nascondere l'essenza di una natura che, a partire dal titolo - parafrasato dal celebre programma condotto dall'investigatrice Federica Sciarelli - e con la presenza di Giuseppe Fiorello tra i protagonisti, corrisponde a quella altrettanto nazional popolare perseguita dai palinsesti delle emittenti più famose. Il film di Pondi non si accontenta di citare i modelli di riferimento, accompagnando la narrazione con un sotto testo che entra in dialettica con l'universo di riferimento attraverso i personaggi di Peppino (Beppe Fiorello), talentuoso quanto sconosciuto chitarrista deciso a uscire dall'anonimato mettendo in scena la propria scomparsa, e di Martino (Pierfrancesco Favino), l'amico del cuore pronto a reggergli il gioco nella speranza di ricavarne qualche profitto, come pure della conduttrice televisiva - interpretata da Sabina Impacciatore - intenzionata a cavalcare l'onda del successo, alimentando la morbosa curiosità che si scatena intorno alla sparizione del musicista.
 

Detto che la sceneggiatura di "Chi m'ha visto" (scritta tra gli altri dallo stesso Fiorello) ha molti punti in comune con quella di "Omicidio all'italiana" (anche in quel caso la notorietà era il frutto della manipolazione mediatica), rispetto al film di Capotonda quello di Pondi sta attento a non esasperare i toni, esercitando un punto di vista lontano dalla critica di costume come pure dal tentativo di fare satira sugli aspetti più deleteri della società contemporanea, al quale vengono preferite argomentazioni di una retorica quasi sempre all'insegna della simpatia e dei buoni sentimenti. In questa maniera le differenze si appianano e gli scarti tra i vari personaggi convergono su un unico intento, che è quello di intrattenere lo spettatore con uno spettacolo adatto al pubblico di tutte le età. Indicativa, in tal senso, è la figura di Sally (la new entry Mariella Garriga), la quale, chiamata al ruolo della prostituta dal cuore d'oro è fin da subito una sorta di cenerentola alla ricerca del principe azzurro. Senza alzare l'asticella della qualità relativa al genere in questione , "Chi m'ha visto" è comunque una commedia divertente che può contare sulle ottime interpretazioni dei suoi attori (su tutti Favino, in versione cafonal) e che se ha una pecca, è quella di non sapersene che fare della musica, inizialmente in primo piano con estratti di un concerto di Jovanotti e poi relegata ai cameo di alcuni dei nostri cantanti più famosi (da Jovanotti a Elisa) ognuno dei quali si presta a filmare l'appello nei confronti del tormentato collega.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)

La Notizia del Giorno GTA: Liberty City Stories e Vice City Stories spuntano per PS4





Notizia Pubblicata da:   http://www.games.it/




Sulla Entertainment Software Rating Board (ESRA), che si occupa di assegnare un rating ai giochi in USA, sono spuntati alcuni interessanti titoli sviluppati da Rockstar Games. I giochi sono listati per PlayStation 4 e si tratta di: Grand Theft Auto: Vice City Stories, Grand Theft Auto: Liberty City Stories, Midnight Club 3: DUB Edition e Max Payne 2: The Fall of Max Payne.

 

 

Cos'hanno in comune questi giochi, oltre allo sviluppatore? Sono tutti titoli PlayStation 2, il che porta a pensare che verranno riproposti su PlayStation 4 in versione "Classici PS2". Rockstar, in particolare, ha già rilasciato alcuni titoli classici su PlayStation 4 come Bully, Manhunt, Grand Theft Auto: Vice City, Grand Theft Auto: San Andreas, The Warriors e altri ancora. 

 

Non è ancora sicuro che questi giochi arriveranno in versione Classici PS2, ma in quel caso arriveranno a un prezzo budget, con supporto ai trofei e alla risoluzione 1080p

 

Notizie su God of War: il nuovo trailer guarda qui





 Notizie su God of War: il nuovo trailer guarda qui 




venerdì 29 settembre 2017

BABYLON SISTERS

Babylon Sisters
di Gigi Roccati
con Amber Dutta, Nav Ghotra, Rahul Dutta
Italia, Croazia, 2017
genere, drammatico
durata, 85'


Kamla (Amber Dutta) ha dodici anni ed è figlia di genitori indiani da tempo residenti in Italia. La sua famiglia decide di trasferirsi da Milano a Trieste, in un quartiere degradato ed in particolare in un edificio fatiscente popolato da una comunità multietnica composta da cinesi, croati, turchi. Il proprietario dello stabile è italiano e sottopone  tutti i suoi “inquilini” a continue angherie e ha appena annunciato loro l’immediato rilascio dell’immobile mediante notifica di un’ingiunzione di sfratto esecutiva.
La mamma di Kamla (Nav Gohtra) è una casalinga ma con la passione della danza stile Bollywood; il papà, Ashok, fa il cameriere. Centrale ed emblematica è la figura del “Professore”, Leone (Renato Carpentieri), che da un’iniziale avversione per il diverso e dunque per la società multietnica che convive con lui nello stesso edificio, diviene solidale e paladino di tutti i suoi vicini di casa al punto che decide di dare lezioni di italiano alla piccola Kamla.
Il regista è Gigi Roccati e Babylon Sisters è il suo primo lungometraggio dopo una lunga esperienza come documentarista avendo girato molti documentari in giro per il mondo.
Il film è liberamente ispirato al romanzo "Amiche per la pelle" di Laila Wadia, autrice indiana che risiede a Trieste. 
Gigi Roccati cerca di coniugare il problema attualissimo dell’immigrazione e della integrazione con il genere bollywoodiano attraverso danze stile Bollywood portate in scena da Shanty. Questa commistione di generi conferisce alla storia un sapore di fiaba a lieto fine inneggiando alla solidarietà ed all’integrazione anche attraverso i valori della poesia decantati dal Professor Leone.
Aspetti favolistici del genere “e tutti vissero felici e contenti..” che sono invece del tutto assenti in un altro lungometraggio presentato al Festival di Venezia che tratta dello stesso annoso e cruciale tema dell’immigrazione. Si allude al film “L’ordine delle cose” della regia di Andrea Segre che ci mostra di converso l’Italia come un Paese che non riesce ad essere all’altezza dei propri propositi e che - pur desiderando un’integrazione degli immigrati - ci mostra l’impossibilità e la difficoltà di raggiungere detto obiettivo.

Michela Montanari

giovedì 28 settembre 2017

Parliamo della Nuova Console #Ataribox Attesa per il 2018 il prezzo stimato e tutte le caratteristiche


 

 

la nuova Ataribox, Feargal Mac di Atari ha concesso un'intervista a VentureBeat, svelando le feature principali della nuova console.

 

 

Ataribox sarà disponibile sul mercato nel corso della primavera 2018 e tra le sue caratteristiche troviamo:

-Prezzo stimato tra i 250 e i 300 dollari

-Processore AMD

-Scheda grafica Radeon

-Sistema operativo Linux

-Giochi pre-installati di casa Atari

-Compatibilità con tutti i titoli Linux

-Riproduzione di contenuti in streaming e musica

-Possibilità di navigare su internet

 

Maggiori dettagli verranno Pubblicati qui restate sempre sincronizzati su videotutorialgameplay.blogspot.it

 

 

News: Get Even: rilasciato l'accolade Guarda il trailer



 Fonte




Get Even, il thriller psicologico di Bandai Namco e The Farm 51, è disponibile da qualche mese ed è stato in grado di guadagnare apprezzamenti da parte della critica in tutto il mondo. Per celebrarne il successo è stato rilasciato un nuovissimo trailer che raccoglie i pareri della stampa specializzata. 

Il gioco vi mette nei panni di Cole Black, un uomo dalla memoria confusa e che ricorda solo di essere accorso in aiuto di una ragazza. L'uomo si risveglia all'interno di un manicomio abbandonato ed è guidato da un misterioso individuo, Red, che lo invita ad approfondire le circostanze del rapimento della ragazza. In tutto questo Black dovrà tentare di ritrovare i suoi ricordi, tentando di non impazzire...

 

 

 

Notizie su Ghost Recon Wildlands: la modalità PvP - Leggi qui la data di Uscita



Come riportato da Gamespot, tale modalità arriverà in Ghost Recon Wildlands il prossimo 10 ottobre attraverso un update gratuito su tutte le piattaforme su cui è uscito il gioco, e proporrà un'esperienza competitiva di quattro giocatori contro altri quattro.

 

 Saranno presenti otto mappe e dodici classi inizialmente, ma Ubisoft ha promesso un'espansione dei contenuti nei mesi a seguire. Restate con noi per scoprire ulteriori novità su Ghost Recon Wildlands, disponibile su PlayStation 4, Xbox One e PC.

 

 

martedì 26 settembre 2017

Notizia interessante La co-op in Code Vein. Gli sviluppatori ci stanno pensando


 

 

 Articolo di Alessandro Baravalle

 

 

Siamo tornati a parlare di Code Vein in occasione della recente pubblicazione di un trailer incentrato sulla trama ma uno degli aspetti più interessanti del "Dark Souls in salsa anime" è la presenza del buddy system, di un compagno gestito dalla IA che ci accompagnerà nelle nostre scorribande.

A questo personaggio sono legate le Partner Action, degli interventi del compagno che ci daranno man forte nel corso dei combattimenti. Il compagno supporterà anche il protagonista migliorandone le abilità e condividendo i punti vita se necessario. Ma perché non permettere ai giocatori di collaborare tra loro? Il producer Keita Iizuka ha confermato a Game Reactor che il team starebbe pensando all'introduzione del multiplayer.

"Si attualmente stiamo pensando al supporto per il multiplayer ma non possiamo rivelare dei dettagli su questo elemento. In ogni caso ci concentriamo con attenzione sul buddy system quindi per questa idea stiamo discutendo e valutando con il team di sviluppo al fine di introdurre un sistema per il supporto del multiplayer

 

 

lunedì 25 settembre 2017

LA NOTTE BRAVA DEL SOLDATO JONATHAN

La notte brava del soldato Jonathan/The Beguiled
di, Don Siegel
con, Clint Eastwood, Geraldine.Page, Elizabeth Hartmann, Jo Ann Harris, Darleen Carr, Pamelyn Ferdyn
USA 1971
genere, drammatico
durata, 105' 


Sorprendendo un po' tutti - la critica se la cavò arruolando Siegel nella schiera dei cineasti americani dal gusto europeo; il pubblico, più prosaicamente, disertò le sale, decretando il più grosso fiasco nella carriera dell'autore - il regista di Chicago realizza nel 1971 "La notte brava del soldato Jonathan"/"Beguiled" (produzione Malpaso), singolare incursione nel racconto gotico di ambientazione western, misconosciuto capolavoro pessimista, intriso di misoginia e disperazione.

Durante le fasi estreme - quelle, in genere, più cruente in ogni conflitto - della Guerra di Secessione, nel profondo sud degli Stati Uniti un soldato nordista ferito, Jonathan Mc Burney/C.Eastwood viene soccorso dalle donne ospiti di un collegio femminile (una istitutrice, un'insegnante e tre allieve di età diverse), che anziché riconsegnarlo come prassi alle milizie confederate decidono, per motivazioni diverse, di prendersene cura. Guarito in fretta, grazie alle assidue attenzioni prestategli, Mc Burney comincia a fantasticare sulla possibilità di trarre il massimo vantaggio - in specie carnale - dalla permanenza coatta. Ma è appunto una sfiziosa congettura. Ognuna in realtà interessata ad un rapporto esclusivo, le quattro donne adulte (la quinta è una bambina di pochi anni), ad un primo momento di subdola competizione e di personali illusioni infrante sostituiscono ben presto l'antico e ben collaudato sistema della fratellanza al femminile che, nel caso, non concederà scampo al soldato opportunista e gli confezionerà una fine orribile, in linea perfetta col titolo originale del film (beguiled sta infatti per affascinato ma pure ingannatoirretito, cioè preso in trappola). Già rileggere la vicenda per sommi capi si presta a evocare echi letterari, luoghi tipici di una tradizione, rimandi psicologici e dinamiche umane: James ma pure Williams e Faulkner, ossia il mondo immutabile, ovattato quanto violento e crudele del grande Sud americano. Quindi l'appetito e la repressione sessuale legati a filo doppio all'istinto di sopraffazione e di morte; una natura incontaminata che tutto vede e tollera ma che sembra sempre sul punto di richiudersi sull'uomo, sulle sue smanie, le sue azioni, per tacitarlo e riportarlo a sé.


Ciò che più di tutto colpisce, però, è la maestria e il tocco con cui Siegel - per il grande pubblico, creatore di macchine filmiche votate all'azione, al pragmatismo della resa - orchestra partiture interiori complicate, maneggia silenzi, ossessioni al limite dell'indagine psicoanalitica; indaga, senza pose da rivoluzionario ma anche senza ritrosie, i lati più torbidi del desiderio, della frustrazione e della pretesa di possesso. E lo fa da par suo, utilizzando tutti i linguaggi e gli stereotipi adatti alla bisogna: cambi ripetuti del punto di vista, dissolvenze incrociate, inquadrature sghembe o eccentriche, accorti ralenti, false piste, interpolazione dei registri realistico e fantastico. Come pure - coadiuvato dalle scelte cromatiche di Surtees e dalle musiche di Schifrin - icone/feticcio dell'immaginario gotico, della favola nera, persino dell'universo horror. Ecco, allora, specchi e avvolgenti scale buie illuminate dalle sole candele; figure femminili in ampi abiti che catturano o restituiscono le sorgenti luminose; viluppi, intrichi vegetali, i live oaks, le leggendarie querce del Sud, che proteggono ma pure assediano e isolano il collegio dal mondo. Addirittura, evidenti riferimenti al rinascimento italiano nelle scene d'impianto onirico/allucinatorio. Ugualmente inattesa è la prova di Eastwood, qui in grado di aggiungere toni maliziosi e sfuggenti alla tradizionale maschera di cowboy/poliziotto/individuo solitario insondabile, di demistificare e quindi capovolgere l'aura virile che lo caratterizza fino a dissacrarla, se è vero che l'amputazione della gamba infertagli ad un certo punto dal quintetto muliebre come primo di tanti castighi a riparazione della sua agognata promiscuità, è fin troppo scoperta metafora di ben altra mutilazione.


Girato tra New Orleans e Baton Rouge, “Beguiled" si avvale inoltre di una precisa ricostruzione delle vicende storiche. Si apre, infatti, su autentiche immagini della Guerra Civile, con Mc Burney/Eastwood a ruota trasportato all'interno del collegio, e si chiude con lo stesso protagonista seppellito al di fuori della proprietà, nel silenzio di una natura rigogliosa e placida, come a sancire la ritrovata sacralità del luogo depurato della presenza dell'elemento estraneo perturbatore. All'interno di questo moto circolare che alimenta tutta la pellicola, Siegel opera anche la propria personale elegia/rilettura dell'epopea della nascita di una nazione, sottolineando con composto disincanto che davvero per gli eroi non c'è più posto. Bene e Male - paradigmi tipici anche del western - sfumano senza attrito l'uno nell'altro. Il Caos, inteso come dissidio - e la guerra è solo uno dei suoi pressoché infiniti volti - s'impone quasi come logico risultato di sempre uguali premesse, mentre il Bene non è certo rappresentato dal soldato Mc Burney, bugiardo (si spaccia, per dire, per mormone), ondivago e profittatore. E tanto meno è incarnato dalle donne, con sfumature diverse tutte infelici, rose al tempo da una gelosia reciproca quanto da una brama di vivere estenuantemente insoddisfatta, che le trasforma - senza troppi ritegni, a guardar bene, o traumi - in un perverso clan omicida. Eliminato l'alone del mito, alla frontiera non resta che assumere le meste sembianze d'una ripetuta e fredda resa dei conti, dove onore e lealtà sono parole stranite d'una macabra litania e nemmeno la presenza femminile è più in grado di offrire ricompensa o consolazione.
TFK

L'INGANNO

L’inganno
di Sofia Coppola
con Elle Fanning, Kirsten Dunst, Nicole Kidman
USA, 2017
genere, thriller
durata, 94’


In piena Guerra di Secessione, nel profondo Sud, le donne di diverse età che sono rimaste in un internato per ragazze di buona famiglia danno ricovero ad un soldato ferito. Dopo averlo curato e rifocillato, costui resta confinato nella sua camera, attraendo però, in vario modo e misura, l'attenzione di tutte. La tensione aumenterà mutando profondamente i rapporti tra loro e l’ospite. Se il segreto di un buon remake sta nel riuscire a rimanere fedele al testo originale attraverso la capacità di tradirlo, Sofia Coppola l'ha capito. In “L'inganno” c'è praticamente tutto quello che c'era ne “La notte brava” del soldato Jonathan e tutto il lavoro della regista americana è stato fatto sui toni e sulle atmosfere, capaci di trasformare il testo in un film del tutto diverso: anche nei temi. Splendido esempio di southern gothic figlio del suo tempo, il film di Siegel, a sua volta basato sul romanzo di Thomas Cullinan da cui anche “L'inganno” è partito, flirtava in maniera abbastanza esplicita con la libertà sessuale, lasciava emergere il tumulto ideologico di quegli anni, trasudava una vitalità gioiosa nonostante i dettagli più crudi e la macabra risoluzione della storia. 



Nella pellicola della Coppola, invece, a dominare sono atmosfere cupe e vagamente opprimenti, l'intrico di pulsioni sessuali è molto più morboso che spensierato, e tutto il film è ammantato da una sensazione funebre, quasi mortuaria, che fa risaltare maggiormente l'ironia di situazioni e dialoghi. Non cede a nessuna tentazione pop, la Coppola, nemmeno nella colonna sonora, lasciando che del Sud degli Stati Uniti nel quale è ambientato “L'inganno” prenda lo spirito più decadente. Fin dalle primissime inquadrature, è la natura a dominare, gli alberi del bosco dove il soldato ferito di Colin Farrell viene trovato da Oona Lawrence, alberi, rampicanti e erbacce che si stanno mangiando il giardino della villa teatro dell'azione e la casa stessa. Una vegetazione che, non a caso, lo stesso Farrell tenterà, invano, di controllare quando si propone come giardiniere al gruppo di donne che lo ha salvato e lo sta ospitando. Una chiara metafora, perché con il procedere degli eventi sarà la natura più istintuale e perfino primordiale degli esseri umani, delle donne e degli uomini, del maschile e del femminile, a prendere il sopravvento. Sempre però mediata dalle buone maniere d’un tempo che la Miss Farmsworth di Nicole Kidman, la direttrice della collegio femminile in cui finisce Farrell: da una razionalità esasperata e cinica che darà vita a un sottile e perverso gioco di ruoli e potere che finirà in un educatissimo massacro.
Riccardo Supino


La vera forza de “L'inganno” e della regia della Coppola, che guarda dritta al “Giardino delle vergini suicide” anche nella forma, sta in questa capacità di gestire i toni e gli equilibri, in un film al lume di candela, minimalista e di notevole intelligenza. Il risultato allora è quello di un thriller psicologico che ammicca alla black comedy, fatto di attenzione a dettagli, parole e piccoli gesti, con battute fulminanti e un'ironia crudele affilata come un rasoio.Magari anche un esercizio di stile: ma di quelli che hanno senso, divertono e si fanno vedere con gran piacere, e che parlano di rapporti di genere, solidarietà e rivalità femminile, esuberanze maschili, senza inutili lungaggini o pedanterie
Riccardo Supino

domenica 24 settembre 2017

SASHA E IL POLO NORD

Sasha e il Polo Nord
di Remy Chayé
genere, animazione
Francia, Danimarca 2016 
durata, 83’


Viaggiare. Dove ? La saggezza dei secoli ammonisce: l’unico itinerario degno è quello che si compie scientemente dentro sé stessi. E’ pure vero, però, che se ti trovi nelle condizioni di una come SashaTchernetsov, ovvero sei una ragazzina - per di più di nobili origini, quasi promessa a un principe arrogante e ottuso dell’impero zarista nella San Pietroburgo dell’ultimo scorcio del XIX secolo - il periplo per compiersi abbisogna di percorsi preliminari col portato dei quali l’animo cominci asgranchirsi, ovvero è necessario attraversare certe frizioni imposte dall’esperienza e dalla conoscenza.
La biondissima Sasha è del tipo educato-ma-testardo. Legata al nonno Oloukine, insigne esploratore (ha trovato lui il passaggio a Nord-Est) scomparso da tempo a bordo del rompighiaccio Davaï nel tentativo di arrivare al Polo Nord, sulla scorta di appunti nautici rinvenuti tra le carte del vecchio viaggiatore si convince che le spedizioni inviate per la sua ricerca abbiano preso la strada sbagliata, pregiudicandone il ritrovamento. Nonostante lo Zar in persona, poi, abbia promesso una ricompensa di un milione di rubli all’equipaggio che riporterà in salvo gli eventuali superstiti del Davaï, di fatto, indizi o notizie certe languono e a Sasha ciò che interessa davvero è trovare le risposte giuste a un interrogativo via via lasciato andare, quasi di pari passo all’ingigantirsi d’un pregiudizio nei confronti del prestigio familiare.

Chayé - esordiente nel lungo d’animazione e già collaboratore per opere come “The secret of Kells” di Moore (2009) e “La tela animata” (2011) di Laguionie - sfrutta la progressione classica dell’anabasi per ricalcare (e retrodatare) la narrativa e la memorialistica d’avventura sullo sfondo storico a venire delle esplorazioni polari dei primi del Novecento (le vicende ardite quanto, a volte, tragiche, che saldano in un solo vincolo leggendario i nomi di Cook, Peary, Scott, Amundsen, Shackleton), adattandole alla figura esile ma determinata di Sasha per il tramite di strutture letterarie consolidate, qui restituite in un amalgama talora prevedibile ma efficace: dal piano più vicino al racconto di formazione (la protagonista accetta obtorto collo un impiego da cameriera/tuttofare per pagarsi il transito verso il grande Nord sulla Norge in partenza, dopo esser stata truffata dal secondo ufficiale della stessa); a quello affine al ritratto picaresco con venature onirico-drammatiche (la lunga traversata della banchisa sulle tracce dell’imbarcazione perduta), passando per i toni da romanzo in costume (le grandi stanze e i saloni della dimora avita, le cerimonie ufficiali, l’aplomb aristocratico, le danze).


I vari registri trovano felice espressione in uno stile figurativo caratterizzato da colori pieni e luminosi per cui i contorni sfumano spesso (si noti, per dire, il gioco di chiaro-scuro tra l’incarnato di Sasha e il suo bianco abito di gala o anche la morbida alternanza di riquadri di luce sulla ritrovata calma delle acque dopo la tempesta), mentre forme e volumi s’aprono in una sorta d’indifferenziato - o, se vogliamo, in un continuum - che mira a riprodurre la suggestione d’una realtà in perenne trasformazione entro cui riecheggiano assonanze legate al Cubismo (i profili allungati e semi-geometrici dei volti); all’elasticità e all’eleganza di confine dell’acquerello (i vasti e cangianti paesaggi marini, i cieli imprevedibili e le immobilità rurali); all’immediatezza e all’irruenza dell’affiche (i contrasti decisi degl’interni, la compattezza delle superfici degli oggetti in movimento, le ombre larghe e piatte), in un caleidoscopio controllato e coerente, specchio fedele del cammino che lega lo slancio irrequieto d’una preadolescente alla temporanea serenità d’una giovane donna.
TFK

LA FOTO DELLA SETTIMANA

Philip Dick e Ridley Scott

sabato 23 settembre 2017

2 BIGLIETTI DELLA LOTTERIA

2 biglietti della lotteria
di Paul Negoescu
con Dorian Boguta, Dragos Bucur, Alexandru Papadopol
genere, commedia
Romania, 2017



La new wave del cinema romeno ci ha abituato a storie in cui personaggi, ambiente e situazioni concorrono a definire il quadro di una democrazia alle prese con le (drammatiche) contraddizioni che sono tipiche delle   compagini uscite da un lungo periodo di dittatura. In questo ambito “2 biglietti della lotteria” di Paul Negoescu costituisce una felice eccezione per il fatto di appartenere a un genere, la commedia, che appare poco o niente frequentato dai cineasti di questo paese. Una consapevolezza che Negoescu non si limita a teorizzare attraverso il siparietto nel quale uno dei protagonisti stigmatizza la tendenza dei film autoctoni a insistere sugli aspetti più deprimenti e dolorosi della realtà. “2 biglietti della lotteria” infatti, lungi dall’estraniarsi dal contesto a cui appartiene non esita a prendere in prestito alcuni degli stilemi più ricorrenti nelle opere dei vari Mungiu e Puiu, avendo però cura di invertirne il segno. In questo modo il disfacimento dei valori famigliari (la moglie di Dinel lavora in Italia e probabilmente lo tradisce), la precarietà economica  (tirata in causa dalla precarietà lavorativa dei protagonisti) e soprattutto la desolazione del paesaggio (spoglio e desolato) diventano nel film di Negoescu i motivi di una sorta di western esistenziale (il bar/saloon e le stazioni di servizio inquadrate in campo lungo con commenti musicali che fanno il verso a quelli di Ennio Morricone) in cui i nostri (anti) eroi tentano di sovvertire le sorti di un destino che, per quanto avverso, lascia loro qualche briciolo di speranza.  


Nelle mani di Negoescu il mood dimesso e malinconico che abbiamo imparato a conoscere nei tanti capolavori del cinema romeno diventa la chiave di volta per una comicità che risulta tanto più efficace quanto maggiore è l’understatement con cui i tre amici affrontano le diverse tappe del viaggio che li vede diretti alla volta dei balordi che inconsapevolmente gli hanno rubato la possibilità di cambiare vita e di essere felici. Ciò che colpisce in “2 biglietti della lotteria” è la maniera con la quale il regista riesce a non essere scontato all’interno di una trama semplice e lineare: prova ne sia l’andamento narrativo delle situazioni in cui, volta dopo volta, si ritrovano i protagonisti, quasi sempre caratterizzate dall’imprevedibilità dell’umanità con cui i nostri (magnificamente interpretati da Dorian Boguta, Dragos Bucur, Alexandru Papadopol) si confrontano. Uscito in un numero limitate di sale “2 biglietti della lotteria”  conferma il buon stato di salute del cinema romeno e, come tale, meriterebbe ben altra distribuzione.
Carlo Cerofolini

I fan di Fallout sarebbero felici se #Obsidian Entertainment lavorerebbe volentieri a un nuovo Fallout

 

 

 

 Articolo di Matteo Zibbo

 

Che Obsidian Entertainment, sviluppatore dell'apprezzato Fallout New Vegas, lavorerebbe volentieri a un nuovo episodio legato alla celebre serie di Bethesda, Fallout, non è una novità, già tempo fa il CEO della compagnia, Feargus Urquhart, aveva rilasciato dichiarazioni in merito, ora è il director Josh Sawyer a spendere qualche parola sulla questione.

Infatti, come segnalato da Gamespot, Josh Sawyer ha confermato in una recente intervista che lavorerebbe volentieri a un nuovo gioco della serie se ci fosse la possibilità, dopo New Vegas in Obsidian molti vorrebbero tornare alle ambientazioni post-apocalittiche tipiche della saga.

Inoltre, Sawyer ha spiegato che in molti hanno chiesto se ci sarà in futuro un nuovo Fallout targato Obsidian e, questo, testimonia quanto sia stato apprezzato Fallout New Vegas.

INTERVISTA A KRISTINA GROZEVA E PETER VALCHANOV AUTORI DI GLORY - NON C’E’ TEMPO PER GLI ONESTI

Locarno 69. Abbiamo intervistato Kristina Grozeva e Petar Valchanov, registi di "Glory - non c'è tempo per gli onesti", presentato nel concorso internazionale del 69° Festival del Film a Locarno., dicui èpoi risultato vincitore. Secondo film della trilogia aperta da "The Lesson", presentato Italia nel corso della scorsa stagione, "Glory" sarà distribuito il prossimo anno nelle nostre sale da I Wonder Pictures. Questo è quello che ci hanno raccontato.

La parola che dà il titolo al vostro film significa "Gloria". Me ne potete spiegare la genesi?
La gloria è quella che ottiene Petrov quando diventa una specie di eroe nazionale per aver fatto semplicemente il proprio dovere. Come spesso accade la scelta di un titolo ha sempre più di un significato.e perciò avendo scritto il termine con lettere minuscole volevamo alludere alla caducità di quel riconoscimento, destinato a trasformarsi in qualcosa di negativo per lui. Che è poi la stessa cosa che accade a Julia, l'altra protagonista della storia quando gli succede di subire il contraltare del successo ottenuto con il suo lavoro. Il titolo in realtà allude alla precarietà dei riconoscimenti che ad un certo punto il mondo esterno tributa ai due protagonisti.

In che misura il vostro film è ispirato a fatti realmente accaduti?
A ispirarci è stata ciò che è capitato a un ferroviere, il quale dopo aver restituito allo stato una grassa somma di denaro trovata per caso diventa un eroe nazionale. Da qui abbiamo ampliato il nucleo centrale della narrazione con altri episodi realmente accaduti che ci permettevano di mostrare in che modo lo stato si serve di questi eventi per distogliere l'attenzione dai problemi del paese e in particolare dalla diffusione della corruzione che in Bulgaria è uno degli argomenti più discussi sui giornali e nelle televisioni.


Parliamo degli attori: come li avete scelti?
Margita Gosheva e Stefan Demolyubov avevano lavorato con noi in "The Lesson", il primo film della nostra trilogia ed è pensando a loro che abbiamo scritto la sceneggiatura. Il fatto di dover recitare ruoli opposti a quelli del film precedente è stata una sfida per noi e per loro. Gli altri attori invece sono giovani registi a cui abbiamo assegnato il resto dei ruoli perchè pensiamo che essendo abituati a dirigere gli attori nessuno meglio di loro fosse in grado di raggiungere il livello di recitazione che desideravamo. Tra l'altro in Bulgaria sta succedendo che tutti gli attori vogliono diventare registi. Nel nostro piccolo siamo andati contro corrente.

Il film è diviso in due sezioni: la prima è grottesca e involontariamente comica, mentre la seconda si rivela cruda e drammatica. Scrivendo la sceneggiatura ricercavate questo effetto oppure è una cosa che vi è venuta in mente nel corso della stesura?
Quello che dici è vero, anche se bisogna dire che per noi la sceneggiatura è solo il punto di partenza di un processo che si modifica durante le riprese grazie al contributo degli attori ai quali chiediamo di intervenire nello sviluppo dei rispettivi personaggi. Tieni conto che entrambi ammiriamo registi come Ettore Scola e Mario Monicelli proprio per la capacità di saper utilizzare  all'interno dello stesso film emozioni di segno opposto.

Accennavi alla direzione degli attori che in "Glory" sono a dir poco strepitosi. Come avete fatto a fargli raggiungere i risultati che vediamo sullo schermo?
Di sicuro privilegiamo la spontaneità e per ottenerla siamo disposti anche di mettere in discussione la sceneggiatura che per noi non è intoccabile ma al contrario fa solo da apripista a quel qualcosa di imponderabile che ricerchiamo durante le riprese. In questo senso preferiamo girare con ampio uso di long take perché vogliamo che gli attori abbiano lo spazio per muoversi liberamente e per improvvisare.

Sempre per quanto riguarda il set ti volevo chiedere quanti ciak impiegate in media per arrivare alla sequenza perfetta.
Non c'è una regola, però non amiamo ripetere molte volte la stessa scena; crediamo che cosi facendo si eviti che gli attori si stanchino e finiscano per smarrire la spontaneità che ricerchiamo. In ogni caso per rispondere alla tua domanda può capitare che vada bene la prima scena e comunque generalmente non ne facciamo più di dieci. Se poi ci accorgiamo fuori tempo massimo che qualcosa non funziona cerchiamo di correggerlo in fase di montaggio.

Il finale aperto si rivela un colpo a effetto che spiazza lo spettatore e lo destabilizza.
Era importante lasciare gli spettatori con i loro pensieri senza dargli delle indicazioni precise rispetto a quello che avevano appena finito di vedere. A noi piace che si rimanga con delle domande e che il pubblico secondo la propria sensibilità cerchi di darsi delle risposte. In tal modo lo spettatore diventa costrittore della sceneggiatura fino al punto di decidere quale sia la conclusione migliore. Coinvolgere chi guarda e farlo pensare è una delle funzioni dell'arte.

Uno degli aspetti fondamentali per la riuscita del film è il ritmo con cui la storia si mantiene desta e accattivante senza far pesare allo spettatore i momenti in cui la narrazione si fa più riflessiva. Tu (Petar Valchanov), oltre alla regia ti occupi del montaggio e quindi è scontato che io ti chieda qualcosa a riguardo.
È esattamente quello che hai detto perché la mia preoccupazione è quella di assicurare che i contenuti del nostro film riescano a raggiungere lo spettatore evitando quegli appesantimenti che non ci avrebbero consentito di raggiungere l'obiettivo. Il ritmo del film credo che ci abbia permesso di ottenere il nostro scopo senza perdere nulla in termini di profondità e di chiarezza.

Come registi, chi fa cosa?
Inizialmente Petar si occupava maggiormente degli aspetti tecnici e io privilegiavo il lavoro con gli attori. Adesso penso che le cose siano più uniformi e tutto accade spontaneamente. L'importante è che ci sia uno che comandi (ride, ndr) se no si rischia di mandare in confusione i nostri collaboratori. Condividere le responsabilità ci rende più leggeri e quindi maggiormente creativi. Inoltre quando sono sola, e mi è successo recentemente, mi diverto di meno quindi ben venga il nostro modo di lavorare.

Qual è il cinema e i registi che hanno ispirato il vostro lavoro?
Principalmente i film e i registi del vostro Neorealismo. Poi John Cassavetes non solo perché il metodo con cui dirigeva gli attori è quello a cui ci ispiriamo, ma anche perché il suo era un cinema che si occupava di relazioni umane che è quanto vorremmo fare anche noi attraverso i nostri lungometraggi.
Carlo Cerofolini
(pubblicato su ondacinema.it)

venerdì 22 settembre 2017

Ultime Notizie su Code Vein " Sarà schifosamente difficile "


 

 

Code Vein, il nuovo souls-like di Shift e Bandai Namco, sarà davvero molto impegnativo e gli utenti non avranno vita facile durante il gameplay.

 

 

La parola "facile" non esisterà proprio nel gioco, dato che come annunciato da Bandai Namco, Code Vein non includerà un livello di difficoltà "easy" (facile) e che la stessa difficoltà sarà predefinita. Ciò spingerà gli utenti a impegnarsi a tal punto da dover diventare più forti di combattimento in combattimento. Inoltre, i giocatori dovranno essere bravi nel trovare i dungeon più abbordabili in base al livello raggiunto dal proprio personaggio. 

Infine, è stato specificato che cambiando il "Blood Code" del personaggio, sarà possibile modificare le statistiche e le varie strategie, in modo da adattarle ai nemici da affrontare in quella precisa circostanza.

 

 


NOI SIAMO TUTTO

Noi siamo tutto
di Stella Meghie
con Amandla Stenberg, Nick Robinson, Ana de la Beguera
USA, 2017
genere, drammatico, sentimentale
durata, 96'



Maddy ( è la protagonista ed a causa di una rara malattia, la SCID (Severe Combined Immuno deficiency) non è mai potuta uscire di casa ed ha raggiunto l’età di diciassette anni senza poter vivere nessuna delle normali ed ordinarie indimenticabili esperienze che ogni coetaneo sperimenta.
La SCID è nota anche come “sindrome del bambino nella bolla” ed ha costretto Maddy a vivere relegata in una casa bellissima e elegantissima, una sorta di gabbia dorata a cui solo pochi eletti possono accedere e precisamente la sua infermiera Carla (Ana De Reguera), la figlia di questa che ha la stessa età di Maddy ed è la sua sola amica e – ovviamente - la madre di Maddy (Anika Noni Rose). La madre le ha predisposto allora una riproduzione della realtà esterna all’interno della casa, allestendole una stanza di vetro che racchiude tutti i posti che Maddy predilige. E che non ha mai visto perché non ha potuto.
La famiglia di Olly si è trasferita accanto la casa di Maddy e i due appena incrociano gli sguardi scoprono di essere innamorati l’uno dell’altra.. E anche se nella vita è impossibile prevedere sempre tutto, in quel secondo Madeline prevede che si innamorerà di lui. Anzi, ne è sicura. Come è quasi sicura che sarà un disastro. Perché, per la prima volta, quello che ha non le basta più. E per vivere anche solo un giorno perfetto è pronta a rischiare tutto.
Ma la loro storia non può svolgersi come una normale storia tra adolescenti perchè Olly è malata, non può uscire, non può incontrarlo. Allora iniziano a parlarsi alla finestra (un richiamo a Giulietta e Romeo di shakesperiana memoria ed al loro balcone?) a leggere i loro labiali e poi a chattare on-line.
Il telefono rappresenta il mezzo che può unirli e le loro interminabili chiacchierate on-line surrogano e sostituiscono l’impossibilità di potersi incontrare nel mondo esterno come fanno tutti.
Maddy  trova però la forza di cambiare. Perché come dice Maddy  “La differenza tra sapere e vedere con i propri occhi è la stessa che c’è tra sognare di volare e volare per davvero”.
Il primo bacio, il mare, la spiaggia, gli abbracci finalmente prendono il posto dei molteplici libri letti dalla protagonista, i film di cui lei fa recensioni, i modellini di architettura che lei costruisce per reinventare un mondo in cui non riesce ad entrare.



Una favola moderna della principessa rinchiusa in una torre che attende il suo principe azzurro che è incarnato da Olly Bright (Nick Robinson) e che è un moderno e un po’ crepuscolare principe dal look total black (che di “azzurr”o ha ben poco come anche ammesso nel film dallo stesso Olly).
Olly infatti viene a liberare Maddy dalla sua paura: la paura di vivere di amare di rischiare e di soffrire.
Senza voler fare spoiler il film ha risvolti inaspettati: a sorpresa, il cattivo non è solo il padre di Olly che picchia la moglie e non è solo Maddy ad essere rinchiusa in una prigione. Ma sarà solo e proprio lei a trovare la chiave giusta per aprire le porte della “gabbia dorata” ed eliminare i “cattivi”.
Ancora una volta la soluzione, la svolta ce la offre l’Amore che con la sua semplicità ma la sua forza incessante travolge tutto e tutti, rompe gli schemi e abbatte i muri. “L’Amore apre le porte del mondo” dice Maddy.
Il mare ha un significato liberatorio e rappresenta la voglia di rischiare pur non sapendo cosa ci aspetterà immergendoci nelle sue acque. Maddy ci si immerge e si trova nel bel mezzo di una tempesta ma poi riesce a salvarsi ed a approdare sulla terraferma. Più forte e determinata di prima.  Perché lei ora conosce la differenza che la porta ad affermare: “Prima di incontrare Olly ero felice. Ma adesso sono viva, e tra le due cose c'è una bella differenza. "
Perché le cose capitano quando puoi affrontarle e quando hai la testa per viverle.
Noi siamo tutto ci racconta dell’Amore, quello con la A maiuscola che si articola in varie forme da quello tra genitori e figli a quello tra teenager e non solo (come quello tra un uomo ed una donna), ci evidenzia e ci fa sognare proprio perché è un amore per cui vale la pena sacrificare tutto, è un amore dal sapore antico (Shakespeare docet) che – nonostante la tecnologia – resta ancorato a sguardi, a mani che si sfiorano e a palpitanti attese che fanno rumore in un sospiro.

Il film è la trasposizione cinematografica del fenomeno editoriale del 2015 "Noi siamo tutto", bestseller n. 1 del New York Times, opera dell’ex analista finanziaria Nicola Yoon, nata in Giamaica e cresciuta a Brooklyn. La Yoon dipinge una ragazza positiva e semplicemente incantevole che ha la forza prepotente di uscire dal suo ambiente di sempre e parallelamente di catapultarsi fuori dalle pagine dello stesso libro. E la giovanissima Amandla Stenberg riesce perfettamente a interpretarla.
Amandla aveva già ricoperto il ruolo della piccola Rue di Hunger Games, la ragazzina che poi si allea  con Katniss nel mezzo dei giochi mortali. Invece Olly è interpretato dal bravo Nick Robinson, che abbiamo visto in Jurassic World.
La magia del film è racchiusa nella continua citazione (non a caso) de Il Piccolo Principe, del fatto che per tornare dalla propria rosa e rivederla occorre morire (ergo “rinascere”, “cambiare pelle”) e che il mare rappresenta quella sconfinata parte di noi stessi che non abbiamo mai saputo, ma che abbiamo sempre sospettato di avere.  
Michela Montanari

giovedì 21 settembre 2017

VALERIAN E LA CITTA' DEI MILLE PIANETI

Valerian e la città dei mille pianeti
di Luc Besson
con Dane Dehaan, Clara Delevingne, Clive Owen Rihanna
Francia, USA, 2017
genere, azione, fantascienza
durata, 137'


Luc Besson è uno di quei registi che non si fatica ad associare alle immagini dei propri film. Se, dunque, la riconoscibilità è da sempre elemento discriminante per distinguere gli autore dai  semplice mestieranti, non possono esserci dubbi sul fatto che Besson appartenga di diritto alla  schiera più nobile della settima arte. Ciononostante, nell’economia dei giudizi espressi sul conto del francese pesano le accuse che ne stigmatizzano l’infantilità dei lavori e la troppo importanza assegnata al dettaglio formale. Un ragionamento non del tutto sbagliato, se non fosse che il profilo di un film come “Valerian e la città dei mille pianeti” non è solo la maniera scelta dal regista per assicurarsi le attenzioni del pubblico ma diventa uno degli strumenti utilizzati per esprimere l’essenza della storia. Dunque, a ben guardare, il tripudio di colori utilizzato per rivestire l’universo fantastico che fa da sfondo alle avventure di Valerian e Laureline, agenti speciali che attraversano la galassia per assicurare la  pace tra le diverse razze, così come la fantasia divertita e divertente del paesaggio - umano e geografico - con cui i due si confrontano, sembrano l’estensione di un’innocenza contagiosa e ludica che appartiene tanto alla coppia protagonista, quanto ai personaggi che incrociano la loro strada: e quindi, tanto ai Pearl, costretti alla diaspora per colpe altrui (le analogie con la Shoah sono evidenti) quanto alla melanconica Bubble, muta forme - interpretata da Rihanna - che anela a un’identità negatagli dalle caratteristiche del suo straordinario potere, come pure al simpatico Mul, l’animaletto che tutti si contendono per la capacità di moltiplicare ciò che ingerisce. 



Rifacendosi alla poetica del regista, “Valerian e la città dei mille pianeti” ci porta all’interno di un universo in cui la consapevolezza è solo al femminile e dove la superiorità della cosiddetta controparte, per quanto stabilita da ruoli e gerarchie, è, in realtà, - e, come spesso accade nei film di Besson - subordinata alle caratteristiche di rapporti uomo donna in cui, a fare da collante non è l’attrazione fisica, bensì la manifestazione di amori talmente casti da rasentare quelli esistenti tra madre e figlio. Non è quindi un caso che in “Valerian e la città dei mille pianeti” la sessualità sia tutt’altro che definita (fatichiamo a distinguere quella dei Pearl) e che, per esempio, Valerian (Dane Dehaan) abbia le fattezze di un adolescente alle prime armi; 

e, ancora, che le astronavi, gli ambienti e certi strumenti d’offesa (vedasi il bozzolo gelatinoso che a un certo punto imprigiona i nostri) rimandino, nelle loro funzioni primarie, a una sorta di limbo che potrebbe essere quello sperimentato nell’utero materno. Per non parlare dell’azione stessa del regista, il quale, come una madre sul punto di partorire, utilizza le sequenze come vettori chiamati ogni volta a dare alla luce nuovi mondi da affiancare o sovrapporre quelli già esistenti. Sarà per questo motivo che in “Valerian” prevalga nei confronti dei cattivi un sentimento di sostanziale comprensione dei loro misfatti e, più in generale, - attraverso la mancata vendetta dei Pearl nei confronti del loro persecutore - l’astensione da un giudizio definitivo sulle loro colpe. Tratto dal lavoro più importante del fumettista francese Jean Claude Mezieres il film di Besson ha come unica pecca quella di essere un piacere per gli occhi e un po' meno per il cuore. Poco male perché “Valerian e la città dei mille pianeti” rimane comunque uno spettacolo imperdibile.
Carlo Cerofolini

Ci Siamo Ragazzi, Pubblico il Primo Trailer di Resident Evil 7 dedicato al DLC Not a Hero






Ci Siamo Ragazzi, Pubblico il Primo Trailer di Resident Evil 7 dedicato al DLC Not a Hero  " Vi Auguro una Buona Visione a Tutti "  :-) 




" imageanchor="1" style="margin-left: 1em; margin-right: 1em;">

Code Vein il Gioco che porterò nel Canale Gameplay1973channel " Guarda Video i 9 Minuti di Gameplay - TGS 2017 "



 

 

Secondo Gematsu, che ha tradotto le informazioni pubblicate sulla rivista giapponese, il gioco avrà un editor per creare il proprio personaggio, e le scelte offerte saranno molte, dalla corporatura al taglio di capelli, passando anche per il sesso. Riguardo i personaggi mostrati nelle immagini pubblicate la settimana scorsa, scopriamo che la ragazza col colbacco e l'uomo con i capelli rossi sono NPC, dunque non si potranno controllare. Il gioco offre inoltre un sistema di crescita del personaggio molto varia, in modo da lasciare al giocatore la possibilità di sviluppare il proprio eroe in base allo stile di gioco che rispecchia di più i suoi gusti e le sue abilità. Tra le prime informazioni arrivate sul gioco si parlava della possibilità di accompagnare il proprio personaggio da un NPC che avrebbe aiutato nelle battaglie, e oggi sappiamo che il compagno scelto potrebbe anche morire, ma che questo non influirà sul proseguimento del gioco, in quanto il protagonista può continuare per la sua strada anche da solo. Sempre dalle informazioni provenienti da Degenki, sembra che il gioco sarà un open world, in quanto viene scritto che oltre a completare i vari stage, sarà possibile esplorare il mondo di gioco, ed ogni zona di esso avrà tipologie diverse di nemici. Per concludere, il gioco non contempla la "morte" del protagonista, e sfrutterà un sistema di checkpoint, in quanto gli sviluppatori non hanno voluto fare della difficoltà la caratteristica principale del gioco. Questo è quanto di nuovo sappiamo riguardo Code Vein, informazioni importanti che iniziano a definire la tipologia di gioco che è in lavorazione presso gli studi del team Namco che ha sviluppato God Eater. Vi ricordiamo che al momento Code Vein è stato confermato in via "ufficiosa" solo per Playstation 4, ma il comunicato dell'annuncio parlava di un'uscita nel 2018 per "le principali console".

 

 

 

mercoledì 20 settembre 2017

QUINDICI19 - SHORT FILM CONTEST - PREMIO MEDIA AWARD A THE TASTE OF LOVE DI PAUL SCHEUFLER


In qualità di membri della giuria del Quindici19 - Short Film Contest siamo lieti di pubblicare "The Taste of Love" di Paul Scheufler il corto vincitore dei "Media Award". Guardatelo, ne vale davvero la pena. Parola de Icinemaniaci!

FUORI C'E' UN MONDO

Fuori c'è un mondo
di Giovanni Galletta
con Emanuele Bosi, Giulia Anchisi, Alberto Tordi
Italia, 2017
genere, drammatico
durata, 90'


Ci sono film che non hanno nessuna pretesa se non quella di mettere in scena la propria storia. C’è ne sono altri invece che sanno fare di necessità virtù, adeguando i propri orizzonti narrativi alle possibilità produttive. Fuori c’è un mondo di Giovanni Galletta riesce a mettere insieme queste caratteristiche per raccontare quattro facce della medesima crisi. Divisi per origine ed esperienze personali, le vite di Giorgio, Lorenzo, Daniele e Valentina hanno in comune il disagio che li ha spinti ad isolarsi dal mondo fino al giorno in cui il destino gli offre la maniera di riscattarsi prendendosi cura delle pene dell’altro. Così succede a Giorgio, scrittore in ambasce, la cui depressione si stempera nell’incontro con Lorenzo, clochard compassionevole e saggio che gli presenta la figlia Valentina, con la quale il ragazzo inizia a confidarsi. Lo stesso accada a Daniele, parroco assalito dai dubbi della fede, turbato dalla vicinanza di Arianna, la prostituta che il prete ha accolto nella propria casa.



Alle prese con un paesaggio umano quantomeno eterogeneo, Galletta da una parte trova una qualche corrispondenza con il cinema coevo che alla pari di lui (First Reformed di Paul Schrader appena visto a Venezia e L’equilibrio di Vincenzo Marra, in uscita nelle sale) affida agli uomini di Dio il compito di rappresentare il punto più alto dello spaesamento contemporaneo, dall’altra si concentra sui sentimenti e lo stato d’animo dei personaggi per imbastire una vicenda che risulta attuale senza il bisogno di attingere ai dettagli della cronaca contemporanea. In questo senso, Fuori c’è un mondo riesce ad essere allo stesso tempo intimo e universale, alternando l’aneddotica miracolistica di alcuni passaggi, come quelli relativi al ritrovamento del quadro di famiglia da parte di Giorgio e, ancora, le circostanze che permettono al ragazzo di rilanciare la propria carriera di scrittore con altri momenti, decisamente più terreni, riguardanti la difficoltà dei rapporti famigliari, per lo più caratterizzati dall’inadeguatezza della compagine genitoriale. Abbastanza schematico nella progressione narrativa, Fuori c’è un mondo si costruisce una diversità in cui pregi e difetti si equiparano nel definire l’anima di un film che deve la sua efficacia alla disarmante umanità dei personaggi.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)

HOME VIDEO - FAST AND FURIOUS 8

FINALMENTE IN DVD, BLU-RAY™ E 4K ULTRA HD DAL 23 AGOSTO 2017
con Universal Pictures Home Entertainment Italia

NOTE DI PRODUZIONE:
Cast: Vin Diesel, Dwayne Johnson, Jason Statham, Michelle Rodriguez, Tyrese Gibson, Chris ‘Ludacris’ Bridges, Kurt Russell, Charlize Theron, Scott Eastwood
regia, F. Gary Gray
USA, 2018
genere, azione
durata, 136'


L’ottavo capitolo della serie dedicata alle avventure di Dominic Toretto e dei suoi drivers aveva il compito di far dimenticare la scomparsa di un pezzo importante della saga, obbligata da un momento all’altro a fare a meno del personaggio interpretato da Paul Walker, deceduto poco prima della fine delle riprese del precedente episodio. Sarà anche per questo che, accanto alla dark side rappresentata dal voltafaccia di Toretto pronto a rinnegare il proprio credo e a schierarsi col nemico (vedremo che la spiegazione è dietro l’angolo e che nulla è come sembra) il regista F. Gary Gray mostra una voglia di non prendersi sul serio che “Fast Furious 8” teorizza a circa metà del film, con la scena in cui la tensione che caratterizza il  drammatico faccia a faccia tra Dwayne Johnson e Jason Statham si scioglie in una risata che la dice lunga sulla presunta serietà di ciò che vediamo. D’altronde non potrebbe essere altrimenti, a meno che non si voglia cadere nel tranello di considerare in altra maniera le iperboli narrative che ancora una volta ci offrono lo spettacolo di automobili capaci di sfidare le leggi di gravità e di uomini capaci di guidarle in qualsiasi condizione e tipo di terreno (questa volta tocca ci sarà da farlo nel circolo polare artico). Potendo contare su una serialità che non accenna a diminuire (sono in cantiere almeno altri due episodi) “Fast Furious 8” si può permettere di cambiare il segno della personalità dei suoi personaggi, con cattivi è buoni che si scambiano le parti, come pure di presentare ogni volta una nuova guest star, e quindi di  ingaggiare una diva come Charlize Theron, sempre più richiesta dal cinema blockbuster, e qui a suo agio nei panni di una strega cattiva che minaccia di conquistare il mondo non prima di aver tolto di mezzo i nostri eroi, come al solito smargiassi e, ovviamente, vincenti. 

CONTENUTI EXTRA IN BLU-RAY E DVD: 
  • Tutto sulle acrobazie – Vai dietro le quinte di Fast & Furious 8 e sii testimone delle acrobazie più epiche nella storia della franchise
  • Scene estese di combattimento 
  • Il commento al film del regista F. Gary Gray