Aspettando "Dunkirk"
E' noto: la storia tende a inverarsi come tragedia e a ripetersi come farsa. Regola aurea in rare circostanze infranta da accadimenti che per la loro inusuale natura e per la particolarità del frangente in cui si consumano, finiscono per contemplare sfaccettature d'entrambi gli spettri emotivi, coinvolgendo anche la loro posteriore rappresentazione. Uno di questi è per certo il singolare concorso di eventi che tra la fine di Maggio e i primi di Giugno del 1940 ebbe come risultato il rimpatrio - forzato, rocambolesco e sanguinoso - di ciò che restava delle truppe alleate (in maggioranza britanniche), impegnate duramente sul fronte nord-orientale francese, presso Dunkerque (per corrispondenza geografica conserviamo la forma originaria locale) e che fanno da sfondo alle vicende narrate per immagini dall'ultima opera di C.Nolan, "Dunkirk" (dizione anglosassone), appunto.
In quella tarda primavera del '40 la II Guerra Mondiale non aveva nemmeno compiuto un anno e il disegno - militarmente prodigioso quanto nei suoi presupposti politici ed egemonici, folle - di occupazione sistematica dell'Europa da parte del Terzo Reich secondo lo schema del Blitzkrieg (concertazione armonica dell'impiego di forze aeree e terrestri - in specie corazzate - in vista della realizzazione sullo scacchiere bellico di movimenti repentini e avvolgenti in grado di aprire varchi nei punti deboli delle linee nemiche allo scopo di penetrarne in profondità il territorio), sembrava a portata di mano, tanto da far esprimere al Generale E.Rommel, soldato esperto quindi in genere poco incline ai trionfalismi, in una corrispondenza con la moglie relativa a quel periodo fatale, valutazioni ottimistiche del tipo: Giornata di fuoco, come sempre. Ma, a mio parere, la guerra sarà vinta in quindici giorni. Entusiasmo condiviso dallo stesso Hitler se è vero che, visitando il quartier generale di K.R.G. von Rundstedt, pare abbia predetto che il conflitto si sarebbe risolto in sei settimane.
In effetti, la nuova strategia tedesca, il cui principale artefice era il Generale H.W. Guderian (teorico ed esecutore di una visione del combattimento basata sull'impiego massiccio e sincronizzato di forze corazzate e motorizzate - Panzer Division - manovrate in modo da agire velocemente e indipendentemente al fine di portare a termine incursioni imprevedibili e di vaste proporzioni nello spazio nemico, ben al di là del margine del fronte) e di cui s'era avuta - tra le numerose - tragica testimonianza d'efficacia nei giorni precedenti durante gli scontri sulla Mosa, intorno Sedan, autorizzava la persistenza dei più perversi sogni di dominio da parte del dittatore tedesco. Proprio in riferimento a un contesto del genere, negli anni successivi al conflitto, a lungo s'è discusso, circa le reali motivazioni che avevano indotto in quei momenti gli Alti Comandi germanici a interrompere le operazioni nonostante condizioni materiali e morali così favorevoli. Secondo alcuni, le assicurazioni fornite da H.Göring a Hitler riguardo l' impossibilità di una evacuazione delle truppe in ripiegamento (come detto, per lo più inglesi), in virtù d'un eventuale immediato intervento della sua Luftwaffe, giocarono sicuramente un ruolo. D'altro canto, è anche vero che l'ordine impartito alla IV Armata da von Rundstedt inerente al fermarsi l'indomani (leggi il 24 Maggio) con il fine di rifiatare e riorganizzarsi in vista delle missioni successive, si basava su un dettaglio che la micidiale ingegnosità dimostrata dalle tattiche gemelle di Rommel e Guderian aveva ben dissimulato: ovvero la relativa esiguità numerica della compagine tedesca a cui i due generali avevano in parte sopperito traendo il massimo vantaggio dalle opportunità contingenti in un continuo gioco al rialzo di rischi calcolati, al successo dei quali aveva pure concorso la più o meno grande inconsistenza delle contromosse organizzate dagli Alleati (in particolare quelli transalpini).
Allo stesso tempo, non è campato in aria sostenere l'esistenza di un coacervo di ragioni oltreché geo-politiche e militari, anche psicologiche e, se vogliamo, emotive, caratteristiche compresenti nell'ambiguo sentimento di amore/odio che Hitler in persona nutriva verso l'Inghilterra, per cui a un'intenzione volta alla definitiva dissoluzione del suo esercito sul campo contrapponeva, in un caleidoscopio di vagheggiamenti contraddittori, idee e progetti di accordi bilaterali destinati al futuro riconoscimento dell'importanza e della posizione preminente della Germania nel corpo del vecchio continente, al punto da non escludere la ratificazione di una vera e propria pace con la rivale, compatibilmente a condizioni giudicate degne dell'onor patrio. Risulta, a questo proposito, di un certo interesse la valutazione dello studioso di strategia B.H.Liddell Hart, secondo cuiIl carattere di Hitler era di una tale complessità che qualsiasi spiegazione troppo semplice ha poche probabilità di essere vera. E' molto più plausibile che la sua decisione fosse frutto di un complesso intreccio di motivi diversi. Tre sono abbastanza evidenti: il desiderio di mantenere in buone condizioni le sue forze corazzate per il colpo successivo; il timore che aveva sempre suscitato in lui l'idea d'avventurarsi nella paludosa regione delle Fiandre e la richiesta di Göring che alla Luftwaffe fosse assegnato un ruolo di primo piano. Ma è anche molto verosimile che alcuni motivi politici s'intrecciassero a quelli militari nel cervello di un uomo che aveva una grande inclinazione alla strategia politica e tante storture nella mente.
Fatto sta che tra il 24/05 e il 02/06/di quel 1940, in uno scenario (ovviamente) tutt'altro che pacificato, navi militari con il non secondario apporto d'imbarcazioni mercantili riuscirono a sottrarre a una più che probabile completa eliminazione quasi 339mila uomini - col sacrificio, comunque, di circa 34mila unità nelle vesti di prigionieri di guerra - contribuendo così a materializzare una nuova e più promettente direzione per le sorti dell'intera contesa.
Ora non resta che vedere come ha immaginato la partita Nolan.
TFK
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