La paranza dei bambini
di Claudio Giovannesi
con Francesco Di Napoli, Artem TkachuK, Alfredo Turitto, Valentino Vannino
Italia, Francia 2019
genere, drammatico
durata, 111’
Premio per la miglior sceneggiatura al 69esimo Festival di Berlino, “La paranza dei bambini”, del regista Claudio Giovannesi, mette sullo schermo le vicende narrate nell’omonimo libro di Roberto Saviano.
Come ci suggerisce il titolo, la storia mostra dei bambini che diventano i veri protagonisti della vicenda, ritrovandosi faccia a faccia con una realtà molto più grande di loro nella quale vorrebbero imporsi, ma, proprio a causa della giovane età, non riescono. La paranza, nel gergo camorristico, può indicare un gruppo di barche per il trasporto di merci di contrabbando e, anche se non sono presenti barche, è proprio questa la funzione che assumono Nicola, il protagonista, e i suoi amici.
Il giovanissimo ragazzo, insieme alla sua banda di amici, cerca di imporsi e di riportare una sorta di pace e tranquillità nel proprio quartiere. Inizialmente lo fa a parole, poi capisce che l’unico modo è utilizzare le armi che sono il solo mezzo in grado di spaventare veramente. In questo modo, e con la protezione di un boss, inizia a far regnare una pseudo pace, riuscendo a conciliare tutto questo con gli amici, la famiglia (mamma e fratellino) e l’amore, Letizia. Questo finché qualcosa non va storto e tutto sembra andare, a poco a poco, in pezzi.
Al di là dei cambiamenti, più o meno evidenti, rispetto al libro, l’opera di Giovannesi riesce nell’intento di mostrare una sfaccettatura diversa di quello che è l’ambiente della malavita napoletana, dando maggiore risalto alle emozioni e alla psicologia dei personaggi. L’importante scelta di utilizzare, in larga parte, piani sequenza ha permesso di rendere al meglio sia i pensieri dei giovani, sia, soprattutto, la loro innocenza.
Primo fra tutti, la scelta di Francesco Di Napoli (il giovane Nicola), molto abile nel rendere i vari punti di vista del personaggio. Il suo volto, tutt’altro che legato all’iconografia classica del criminale, ha reso il tutto più semplice e naturale. In generale tutti i ragazzi coinvolti riescono a far trapelare una spontaneità non scontata che sembra quasi strizzare l’occhio al pubblico, in bilico tra realtà e finzione.
Il punto di forza del film, oltre che nei ragazzi, spontanei, genuini e semplici, sta nelle scelte adoperate dal regista che non si limita a mettere sullo schermo ciò che Saviano ha scritto, ma sembra quasi reinterpretarlo, conferendo maggiore veridicità e staccandosi dall’opera più importante dell’autore partenopeo.
Alla fine, quindi, il film ha il compito di mostrare che degli apparentemente innocenti bambini passano dall’essere vittime di un sistema che li costringe a compiere determinate azioni a diventare i carnefici. Il tutto non sapendo assolutamente a cosa andranno incontro. E proprio questo è il perno centrale della narrazione: quello che inizia come un gioco si trasforma in qualcosa di troppo grande da gestire.
Veronica Ranocchi
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