Collateral Beauty
di David Frankel
con Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet
USA, 2016 Genere: drammatico
durata: 94'
Howard è il manager di maggior successo di una grande azienda. Colpito dalla tragedia della morte della figlia di sei anni, non riesce a tornare a vivere. I suoi tre migliori amici e colleghi di lunga data vengono a sapere che ha scritto delle lettere, al Tempo, all'Amore e alla Morte, e assoldano tre teatranti perché impersonino queste entità astratte e dialoghino con Howard, scuotendolo e riportandolo alla consapevolezza che la sua vita non è finita. Nemmeno in mano ad un grande autore visionario un copione come questo, sarebbe stato al sicuro; meno che mai in quelle di David Frankel e di un cast troppo stranamente assortito, in cui grandi attori del calibro di Norton e Winslet vedono sminuite le proprie potenzialità: soltanto Helen Mirren riesce a emergere come merita, ma con un personaggio da commedia, lanciato come una trottola impazzita su un tappeto drammatico. Non che una dose di leggerezza non sia contemplata in partenza, ma non è quella della commedia, bensì quella sentimentale del "Canto di Natale" dickensiano, che il film riprende esplicitamente nelle figure dei tre attori che, come angeli, vedono in profondità nelle vite dei loro interlocutori. Anche qui, però, le forzature non mancano; soprattutto, diventa sempre più chiaro che in "Collateral Beauty" sono contenuti due film che non s'incontrano se non in maniera illusoria, soltanto apparente. Da un lato, il melodramma con Will Smith e Naomie Harris, film dal notevole portato tragico; dall'altro, un film dal sapore più indipendente e dal soggetto più singolare, su una piccola compagnia di attori pagati per uscire dalla comfort zone del loro teatrino off Broadway e misurare la loro arte con un'esigenza della vita vera, un terreno su cui non possono sbagliare, pena l'aggravamento di una sofferenza già insopportabile. Una prova difficile, che Keira Knightley rischia di fallire. Quando arriva il momento di spiegare il titolo, la motivazione non è convincente e appare chiaro che l'architettura, molto complessa e suggestiva, fatica a reggere per tutta la durata della pellicola.
Riccardo Supino
di David Frankel
con Will Smith, Edward Norton, Kate Winslet
USA, 2016 Genere: drammatico
durata: 94'
Howard è il manager di maggior successo di una grande azienda. Colpito dalla tragedia della morte della figlia di sei anni, non riesce a tornare a vivere. I suoi tre migliori amici e colleghi di lunga data vengono a sapere che ha scritto delle lettere, al Tempo, all'Amore e alla Morte, e assoldano tre teatranti perché impersonino queste entità astratte e dialoghino con Howard, scuotendolo e riportandolo alla consapevolezza che la sua vita non è finita. Nemmeno in mano ad un grande autore visionario un copione come questo, sarebbe stato al sicuro; meno che mai in quelle di David Frankel e di un cast troppo stranamente assortito, in cui grandi attori del calibro di Norton e Winslet vedono sminuite le proprie potenzialità: soltanto Helen Mirren riesce a emergere come merita, ma con un personaggio da commedia, lanciato come una trottola impazzita su un tappeto drammatico. Non che una dose di leggerezza non sia contemplata in partenza, ma non è quella della commedia, bensì quella sentimentale del "Canto di Natale" dickensiano, che il film riprende esplicitamente nelle figure dei tre attori che, come angeli, vedono in profondità nelle vite dei loro interlocutori. Anche qui, però, le forzature non mancano; soprattutto, diventa sempre più chiaro che in "Collateral Beauty" sono contenuti due film che non s'incontrano se non in maniera illusoria, soltanto apparente. Da un lato, il melodramma con Will Smith e Naomie Harris, film dal notevole portato tragico; dall'altro, un film dal sapore più indipendente e dal soggetto più singolare, su una piccola compagnia di attori pagati per uscire dalla comfort zone del loro teatrino off Broadway e misurare la loro arte con un'esigenza della vita vera, un terreno su cui non possono sbagliare, pena l'aggravamento di una sofferenza già insopportabile. Una prova difficile, che Keira Knightley rischia di fallire. Quando arriva il momento di spiegare il titolo, la motivazione non è convincente e appare chiaro che l'architettura, molto complessa e suggestiva, fatica a reggere per tutta la durata della pellicola.
Riccardo Supino
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