martedì 20 settembre 2016

BLAIR WITCH

Blair Witch
di Adam Wingard 
con James Allen Mc Cune, Valorie Curry, Callie Hernandez
USA, 2016
genere, horror
durata, 89'


Quando nel 1999 Daniel Myrick ed Eduardo Sanchez realizzarono "The Blair Witch Project" l'utilizzo del found footage come espediente per elevare la verosimiglianza di delle immagini e dei contenuti presenti nei lungometraggi di finzione non era diffuso come oggi. In questo modo si spiega il successo di un film girato in maniera amatoriale e con una produzione indipendente e che però riuscì a conquistare le platee per il fatto di poter contare sul fraintendimento creato ad arte dai registi; i quali attraverso un'abile strategia di marketing riuscirono a diffondere (via web) informazioni che in qualche modo convinsero una parte dell’opinione pubblica circa  l’autenticità del materiale proiettato sullo schermo.  

Non potendo più contare sull’effetto sorpresa scaturito dall’escamotage del falso documentario - diventato nel corso degli anni un must del genere horror, - Adam Wingard procede in senso opposto enfatizzando il carattere fittizio del suo “Blair Witch” a partire dall’utilizzo del colore, in questo caso preferito al bianco e nero sporco e sgranato dell’originale; e poi divertendosi a confezionare un sequel che sotto mentite spoglie altro non è che il remake del primo film di cui “Blair Witch” si limita a cambiare solo le premesse che spingono i ragazzi ad addentrarsi nella foresta infestata dalla terribile strega. 


Qui infatti la mattanza è innescata dalla convinzione di uno dei protagonisti di poter ritrovare Heather, la sorella a suo tempo scomparsa nella spedizione filmata da Miryck e Sanchez. Per il resto, ove si eccettui l’aggiornamento delle tecniche di ripresa impiegate dai ragazzi per filmare il loro reportage, con il drone che si aggiunge a cellulari e videocamere, la forma del dispositivo rimane invariata tanto nell’uso del fuori campo, a cui è devoluto il compito di provocare lo spavento celando le sembianze della malefica persecutrice, che nella predominanza di sequenze girate in soggettiva, alle quali si devono il senso di claustrofobia e la dolorosa afflizione tipiche del brand.  Operazione puramente commerciale “The Blair Witch” è destinato a rimanere lontano dagli strepitosi incassi totalizzati dal suo riferimento cinematografico. 

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