giovedì 5 dicembre 2019

UN GIORNO DI PIOGGIA A NEW YORK

Un giorno di pioggia a New York
di Woody Allen
con Timothee Chamelet, Elle Fanning, Seleza Gomez
USA, 2019
genere, commedia
durata, 92'




Ottuagenario senza macchia e senza paura Woody Allen sfida l’età, e non solo quella, tornando ragazzino e argomentando degli amori di un giovane Werther (Timothée Chalamet), impegnato a riempire il tempo che lo separa dall'appuntamento con la fidanzata, lasciata qualche ora prima nella mani del lunatico regista che Ashleigh (Elle Fanning) deve intervistare per il giornale della scuola. Considerato che a fare da cornice alla lunga giornata vissuta dai protagonisti sono le strade, i quartieri e soprattutto il côté dell'Upper East Side newyorkese, "Un giorno di pioggia a New York" dichiara fin dal titolo la sua affiliazione al filone più autentico e rappresentativo della filmografia alleniana, quella che nasce e si sviluppa nel milieu preferito dall'autore di "Manhattan" e "Io e Annie", ogni volta ripresentato con una variazione sul tema che non gli impedisce di essere una continuazione di un discorso precedente. Un imprinting così forte, quello del pensiero alleniano, da riuscire a superare le contingenze di sceneggiatura e dunque di prendere forma e sembianze tanto in personaggi adulti e navigati che non hanno più niente da scoprire della vita quanto, come capita nel film in questione, in quelli che invece, come il giovane Gatsby, sono ansiosi di capire come funziona l'esistenza e, in particolare, quali sono le alchimie che uniscono e separano uomini e donne.


Da questo punto di vista "Un giorno di pioggia a New York" si potrebbe considerare una sorta di educazione sentimentale che nell'arco dei 92 minuti di durata - o, se volete, nelle 24 ore in cui si sviluppano le vicende del film - riesce a mettere in discussione amori e aspirazioni della giovane coppia rivisitando i luoghi più classici del cinema alleniano. A cominciare dai personaggi, amati a tal punto da renderne sopportabili e  talvolta piacevoli, difetti e ipocrisie, qui catalizzati dagli entusiasmi della bella e svampita Ashleigh, acqua cheta e prototipo di quella femminilità alleniana falsamente rassicurante, spesso utilizzata dal regista per incarnare i fantasmi delle relazioni con l'altro sesso, oppure, come succede in "Un giorno di pioggia a New York" (con la Shannon di Selena Gomez) per valorizzare modelli di segno opposto. Una galleria di tipi umani in cui a svettare in termini canzonatori sono altrettanti archetipi di divismo cinematografico (il divo playboy Diego Luna, lo sceneggiatore fedifrago Jude Law, il regista irrisolto e depresso Liev Schreiber) e, da ultima, fuori campo - ma non troppo -, la figura materna, sì castrante (è da lei che Gatsby cerca inutilmente di sfuggire) ma anche - nel suo essere insieme "santa e puttana" -, foriera di una ricomposizione psicologica e comportamentale senza la quale i personaggi alleniani sono condannati alle proprie disfunzioni sentimentali. 



Che poi il nuovo Allen assomigli a quello "vecchio" lo conferma la propensione verso un cinema di scrittura rispetto al quale anche le immagini sono costrette a fare un passo indietro per lasciare spazio al naturale fluire della materia narrativa nella forma-racconto, in "Un giorno di pioggia a New York" presente tanto nella convenzioni formali (l'io narrante rappresentato dalla voce fuori campo del protagonista che introduce i fatti e li commenta) che nei riferimenti letterari: espliciti nel fare del nome del suo protagonista la spia di un romanticismo struggente e malinconico quanto quello del Gatsby fitzgeraldiano, oppure a rispolverare Salinger e "Il giovane Holden" nel fare della "vacanza" newyorkese una sorta di rito di passaggio tra l'età giovanile e quella delle responsabilità, come pure nella proposta di un personaggio che senza avere la caustica verve di quello salingeriano ne ricalca saggezza e consapevolezze. In questo senso il viaggio di Gatsby nella metropoli newyorkese potrebbe essere quello di un eroe chandleriano, così come l'intera storia di "Un giorno di pioggia a New York" somiglia a un vero e proprio noir esistenziale, in cui il peregrinare del giovane attraverso la città diventa poco alla volta una ricognizione sugli usi e costumi e sulle liturgie di un'intera società, a cui l'occhio di Gatsby si rivolge con sguardo allo stesso tempo partecipe ma non per questo meno indagatore. A supportare il genio dell'autore concorre la regia visiva di Vittorio Storaro, bravo ad ammorbidire la narrazione con cromatismi volti a sottolineare passioni giovanili con primi piani che trasfigurano i volti dei due protagonisti; oppure a far emergere all'interno dell'inquadratura i particolari di un determinato stato d'animo: come quello di Ashleigh il cui turbinio di emozioni sembra prendere forma nelle linee impazzite del quadro che le incornicia il busto nella ripresa frontale che la vede per la prima volta al cospetto della celebrità da intervistare. 
Carlo Cerofolini
(pubblicata su ondacinema.it)

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