Naissance des pieuvres/Water lilies
di, Céline Sciamma
con, Pauline Acquart, Adèle Haenel, Louise Blachère
Francia, 2007
genere, drammatico
durata, 85’
So if you wake up with the sunrise
and all your dreams are still as new
and happiness is what you need so bad, girl
the answer lies with you
- Led Zeppelin -
and all your dreams are still as new
and happiness is what you need so bad, girl
the answer lies with you
- Led Zeppelin -
In questo mondo in cui tutto accade secondo i ritmi e le pretese di una sorta di indifferente - e spesso atroce - abbandono, l’adolescenza, con l’assolutezza della sua tensione verso il nuovo (l’inaudito, l’ineffabile), da sempre si pone come un guado dell’esistenza allo stesso tempo affacciato sulle promettenti lande della meraviglia, come proteso verso le terre inospitali del disincanto e della disperazione. Il Cinema, da par suo, indugia volentieri in questa zona di confine entro cui, per un breve intervallo, tutto e il suo contrario appare sensato, importante e ultimativo; ogni rondò sul nulla foriero - per uno sguardo frainteso, una parola detta o taciuta, un’intemperanza - di conseguenze imprevedibili se non, talvolta, persino tragiche. Tale condizione, ambivalente per antonomasia, si carica vieppiù di implicazioni materiali, emotive e affettive - ognuna, a ben vedere, con uno specifico retrogusto archetipico - allorché si pone l’accento sull’altra metà del desiderio, quella femminile, in grado di sovvertire gerarchie consolidate ridisegnandole volta per volta quasi solo a partire da sé stessa. Prova ne è, tra le tante, l’esordio di Céline Sciamma, a dire questo “Naissance des pieuvres” (conosciuto anche come “Water lilies”) che, già dal titolo, non fa mistero circa le proprie intenzioni di ritagliarsi (e offrirci) un osservatorio privilegiato da cui conoscere meglio le traiettorie e le embricate impellenze del suddetto desiderio, per di più cogliendolo allo sbocciare delle sue ambizioni.
Nel piccolo ma autosufficiente microcosmo costituito, sullo sfondo attutito di un anonimo contesto provinciale, da tre giovani femmine orbitanti intorno agli sport acquatici (nel caso, il nuoto sincronizzato), Marie/Acquart, Anne/Blachère e Floriane/Haenel; dai loro corpi - quello acerbo e filiforme di Marie; quello in carne e un po’ sgraziato di Anne e quello già sodo e invitante di Floriane -; dall’inseguirsi ciclotimico e contraddittorio dei loro slanci (Marie trascura Anne perché attratta da Floriane, a sua volta interessata al ganzo di turno, François, manco a dirlo sogno proibito di Anne), Sciamma dunque corteggia, senza però mai abbracciarli del tutto, un certo numero di topoi del Cinema dell’età-difficile, lasciando - ed è l’intuizione più centrata del film - che siano essi stessi a raggiungere via via - naturalmente, si potrebbe dire - la saturazione (sfoghi improvvisi, silenziose apatie, rancori repressi ma non elaborati) o si prestino, grazie a successivi aggiustamenti, a ricoprire il ruolo di involucro per ulteriori e imprevedibili trasformazioni/ibridazioni (l’amicizia intermittente con sempre un fondo di languida doppiezza; la tentazione saffica, l’àncora fallace dell’opportunismo), all’interno di un quadro psicologico in sistematica ridefinizione e in ragione del quale le ragazze si muovono incerte con le rispettive goffaggini e presunte certezze, correlativi oggettivi, queste ultime, di un reale (qui già specchio ambiguo del rettangolo d’acqua scaturigine delle pulsioni che tiene avvinto il triangolo muliebre e luogo metaforico dell’evoluzione del suo rapporto, a dire: in piscina, come da prassi, quantomeno si impara a stare a galla) fatto per lo più di superfici regolari e di spazi geometrici, non di rado simili tra loro, che esse non conoscono e di cui istintivamente diffidano, elaborando strategie e di contro occhieggiando, guardinghe ma bramose, dall’angolo cieco di un corridoio (Marie); dalla penombra artificiale di un garage o di una discoteca (Floriane); sopra un muretto divisorio o da dietro una finestra o una tenda (Anne), il gioco di intrecci cui mano mano dà vita il filo inquieto della loro intenzione, tentacolo primo con cui imprimere una impronta personale nell’apparente evanescenza del divenire.
Del resto, e simmetricamente, è il desiderio a sancire il limite oltre il quale langue l’interesse di Marie, Anne e Floriane verso il mondo, nel senso dell’opacità dei suoi rapporti di forza, del materialismo esplicito e compiaciuto dei suoi progetti e dei suoi obiettivi, competenze esclusive, le predette, della mediazione adulta (non a caso nel film del tutto assente o retrocessa a rango di rumore di fondo: ciò che è più dato vedere, infatti, sono campi stretti sui visi delle piovre e movimenti discreti della mdp a incontrarne i gesti e/o ad assecondarne gli spostamenti, in particolare il dibattersi delle gambe in acqua per trovare un equilibrio), riconoscendosi, per quanto senza punti di riferimento, solo nel gorgo precario delle consuetudini dei propri anni (la scuola, le feste tra coetanei, lo sport - che Marie prima segue da spettatrice e poi conta di intraprendere per stare più vicina a Floriane -), sebbene la transizione entro i vari riti di passaggio non sia esente dalla trappola delle convenienze e dei malintesi (Floriane, esuberante e sicura di sé, è molto meno disinibita di ciò che vuol lasciare intendere; Marie, timida e riservata, si dimostra invece abile a giostrare le situazioni in virtù di una innata falsa arrendevolezza; Anne, diretta e ingenua, scoprirà di rappresentare il vero centro di attrazione della vicenda ma, unica, saprà sia impossessarsi del fugace incanto che da questa circostanza deriva, che prendere da esso le distanze), e le tregue instabili, le esaltazioni, gli attendismi e i ripiegamenti di un presente irripetibile rischino di essere null’altro che il preludio alle bassezze in attesa tra le pieghe dell’incombente futuro.
TFK
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