Doctor Strange
di Scott Derrickson
con Benedict Cumberbatch Tilda Swinton, Chjwetel Ejiofor, Rachel McAdams
Usa, 2016
genere, avventura, fantasy, azione
durata, 115'
Quella che agli occhi dello spettatore può sembrare una semplice stravaganza, o ancora meglio, il modo ironico e scherzoso scelto dal regista e dai suoi sceneggiatori per alleggerire la gravità del momento, torna utile come cartina di tornasole da impiegare nel tentativo di fare il punto sull'ultima produzione targata Marvel Studios. Accade più volte, prima, durante e dopo il corso da apprendista stregone propinatogli da un arcano mentore ("L'Antico", interpretato da una Tilda Swinton in una versione riveduta e corretta dell'Orlando di Sally Potter), che il protagonista del film in questione si preoccupi di specificare la propria identità scandendo alla maniera di James Bond nome e cognome e titolo professionale. Così facendo, quella che all'interno della storia è l'espediente atto a segnalare la reazione di chi esorcizza le proprie paure con ciò che gli è più famigliare diventa la chiave per intercettare il marchio di fabbrica dell'intera operazione. Perché la mancanza di distinzione tra identità e alter ego, annunciata sin dal titolo (del film e del fumetto da cui lo stesso è tratto) e successivamente ribadita dall'interessato quando oramai è diventato un vero e proprio super eroe, finisce per riflettersi sulla struttura del racconto e sulle caratteristiche delle avventure del protagonista. In "Dottor Strange" infatti non c'è modo di distinguere il privato dal pubblico in una perfetta coincidenza tra l'immagine del personaggio e la sua essenza che, sul piano narrativo si traduce in una dimensione certamente poliedrica, per i diversi livelli di coscienza su cui si muove la vicenda (conseguenti non solo dalla forma astrale che permette all'anima del dottore di abbandonare il proprio corpo ma anche per la presenza degli universi paralleli) ma priva di quel "mascheramento" che è il cuore pulsante della materia super omistica , quasi sempre alle prese con nevrosi derivategli dal dover fare i conti con quella parte di esistenza fatta di consuetudini (famigliari, amicali, lavorative) che esulano dall'acquisizione dei super poteri. In questo senso "Dottor Strange" è l'espressione di un universo unidimensionale e monotematico perché completamente interno alla battaglia combattuta dal protagonista per opporsi alle forze che mettono a repentaglio l'ordine del cosmo; e ancora l'emblema di una diversità - rispetto al resto del pantheon marvelliano -ereditata dalla personalità del suo inventore, il mitico Steve Ditko, che alla pari di quanto aveva fatto con L'uomo Ragno - di cui fu co-creatore insieme a Stan Lee - traspose nella tendenza all'introspezione tipica delle avventure del Dottor Strange le proprie inclinazioni che furono quelle di un uomo talmente timido e schivo da rifiutare (a partire dagli anni sessanta) interviste e ritratti fotografici.
Ora, se a quanto abbiamo appena detto aggiungiamo il fatto che i primi comics dedicati al "maestro della arti mistiche" avevano dalla loro una progressione dialogica e figurativa paragonabile a un vero e proprio flusso di coscienza, la cui comprensibilità richiedeva un'attenzione al di sopra della media, appare chiaro che l'impresa di Derrickson e della sua equipe non era delle più agevoli. Considerato che alla pari degli altri film della Marvel anche questo nasceva con l'intenzione di risultare popolare ed economicamente vantaggioso,"Doctor Strange" correva due rischi opposti e convergenti. Il primo era quello di tradire la natura delle storie per eccesso di semplificazione mentre il secondo, di segno contrario, nasceva dalla possibilità di rimanervi fedele al punto di risultare oscuro e complicato. Con l'intenzione di non scontentare nessuno Derrickson sceglie la via del compromesso: da un lato, privilegiando le atmosfere claustrofobiche e oppressive proprie delle strisce originali; dall'altro, lavorando sulla riconoscibilità degli aspetti visuali e narrativi. Così se "Doctor Strange" si presenta quasi privo di luce e con colori virati al grigio e al nero, è altrettanto vero che la struttura del racconto, organizzata secondo archetipi ultra conosciuti - imperniati sulla lotta tra bene e male e sulla morte e rinascita del protagonista inizialmente borioso ed egoista e alla fine partecipe e altruista - e sull'impiego di una manciata di star che al solito rappresentano un buon compromesso tra qualità interpretative (ottime) e livello di riconoscibilità (discreto se se consideriamo che stiamo parlando di un blockbuster), soddisfa le finalità più mercantili. E ancora sul versante della mediazione è doveroso notare da parte di Derrickson la commistione tra citazionismo e originalità; con la capacità fornita ai personaggi di costruire spazi virtuali alla maniera di "Inception" oppure di ricalcare l'estetica dei cattivi capitanata dal personaggio di Mads Mikkelsen traendola - almeno per quanto concerne il modo di stare in scena - da "Superman II" di Richard Lester, affiancati alle fantasie psichedeliche con cui Derrickson descrive lo scarto dimensionale che permette ad uno scettico Strange di ricredersi a proposito dell'esistenza di una vita ultraterrena. Anche in ragione di essere la prima puntata di una possibile serie "Doctor Strange" appare più così più fresca e convincente rispetto al gigantismo delle saghe degli Avengers e di Captain America e eon almeno due scene destinare a entrare nella hall of fame delle produzioni Marvel: quella del body language di Strange/Cumberbacht che in sala operatoria maneggia il bisturi seguendo il tempo di un hit da discoteca anni 70 e, su un versante più ridanciano, la sequenza in cui in un tripudio da slapstick comedy vediamo Strange sballottato da una parte all'altra dal mantello incantato che finirà per salvarlo dalle grinfie dell'acerrimo nemico.
(pubblicato su ondacinema.it)
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