American pastoral
di, Ewan McGregor
con, EwanMcGregor, Jennifer Connelly, Dakota Fanning, David Strathairn
USA 2016
genere, drammatico
durata, 125'
Vivere senza fare rumore. Aderire ai codici sociali. Rispettare, in una sorta di persuasa omologazione, le leggi, le regole del proprio ambiente, le trappole morbide del quieto vivere nell'illusione, al tempo feroce e puerile, che la vita trascorra un-po'-più-in-là, permettendo alle cose, come loro malgrado, di tenersi insieme. La vita, però - ed è persino banale affermarlo - non asseconda certe cautele. La vita, perlopiù, uccide. Uccide aspirazioni, slanci, sentimenti. E sogni, orgogli, viltà, lasciandosi per ultima la pratica meno interessante: uccidere chi se ne fa portatore.
Seymour Irving Levov/E.McGregor, detto lo Svedese, alla fine degli anni Cinquanta, è uno di quelli che s'è messo di buzzo buono per stare al passo con ciò che il Sistema, la Società, il Buon Senso si aspetta da ogni bravo cittadino. Asso dello sport, eroe ecumenico del liceo di Old Rimrock, New Jersey, scampa d'un niente i campi di battaglia della Seconda Guerra Mondiale (pur essendosi, ligio e a modo suo patriottico, regolarmente arruolato); rinuncia senza patemi evidenti ad una promettente carriera agonistica entrando nella Newark Maid Leatherware, fabbrica di guanti sopraffini ("Vede le cuciture ? La distanza dei punti della bordatura della pelle ? Ecco da cosa si vede la lavorazione di qualità. Questo margine tra le cuciture e l'orlo è probabilmente meno di un millimetro" - P.Roth, American pastoral -) gestita dal padre Lou ("Uomo limitato provvisto di un'energia illimitata" - op.cit. -), che arriverà nel '58 ad aprire una filiale a Portorico; sposa le ventiduenne Dawn Dwyer/J.Connelly, la più croccante delle shiksa, Miss New Jersey 1949 e, in linea con le desolate parole postume di suo fratello Jerry/R.Evans ("Lei post-cattolica, lui post-ebreo, se ne andranno insieme a Old Rimrock ad allevare tanti ragazzini che saranno guardati con invidia. Hanno, invece, quella figlia del cazzo" - op.cit -), mette al mondo la bionda e complicata Meredith/D.Fanning, detta Merry (sadica antifrasi), la quale, raggiunta l'adolescenza al seguito di una a volte invalidante balbuzie la cui autentica scaturigine rimane un ambiguo rompicapo per tutti - tra complessi d'inferiorità nei confronti di genitori troppo perfetti; eventuali tare di carattere fisico mai diagnosticate: un subdolo e perverso ingranaggio psicologico di difesa autolesionistica approntato per tenere a bada una realtà che si ritiene soffocante e falsa - comincia, frequentando, in quei promettenti e contraddittori tardi anni '60, gli ambienti radicali newyorchesi, a minare pezzo per pezzo il terreno su cui la famiglia sta tentando di edificare la propria riproduzione in scala del Sogno Americano...
I
ntercalato, come il testo di Roth, dalle parole di un osservatore non neutrale, qui Nathan Zuckerman/D.Strathairn, detto Skip, (alle spalle del quale si può intravedere lo stesso autore di Newark), compagno di scuola di Jerry, grande ammiratore dello Svedese, schivo e riflessivo scrittore, l'esordio dietro la mdp di McGregor guarda al prototipo letterario operando alcune prevedibili (e legittime) variazioni, tipo concentrare la vicenda attorno al trauma e alle ripercussioni che esso genera nel nucleo di una famiglia modello per opera di una ragazza antagonista, la cui vocazione alla sconfitta e tensione manifesta ad essere-per-la-morte è uguale e contraria a quella che induce lo Svedese (e, per irraggiamento, la mistica che s'è creata intorno lui, nel progressivo sbriciolamento delle certezze di una Nazione, di un periodo, di una Cultura intera) ad essere come gli altri, esattamente come gli altri, al centro di una colorata e dolciastra aurea mediocritas a stelle e strisce, il cui calibratissimo e spietato meccanismo si stabilizza in tempi brevi al passo "di una vita dominata dal buonsenso e dal senso della misura, col conformismo che, ancora una volta, avvolgeva tutto, le grandi e le piccole cose, e fungeva da barriera contro le improbabilità... Lo Svedese... aveva quello che ci voleva per evitare tutto ciò che era sconnesso, speciale, irregolare, difficile da valutare o da capire - op.cit. -".
Se la scelta espressiva del neo-regista è personale e insindacabile, gran parte della sua realizzazione, nella diligente rigidità di una messinscena che ambisce all'esemplarità classica di un dramma interiore in dialogo diretto o metaforico con quello attraversato da un Paese in tumultuosa trasformazione (gli Stati Uniti a cavallo tra gli anni '60 e '70, con ben altra puntigliosità e amaro disincanto raccontati - cinematograficamente parlando - da un altro dramma borghese, un'altra chimera spezzata attorno all'impossibilità di qualunque autentica ribellione, quella di "Revolutionary Road" di Mendes, da R.Yates), sconta una qual esangue programmaticità, una progressione spesso conflittuale ma anodina, come se l'intera costruzione fosse ostaggio di un artificioso determinismo - trappola che l'ordito letterario, organizzato a mo' d'intarsio fra vari piani, quello della memoria che tende ad aggiustare i ricordi; quello dell'inesorabilità del Tempo che tutto travolge; quello della deformazione grottesca e, non ultimo, quello della rabbia e della crudeltà come essenza indecente che allo stesso tempo sostenta e avvelena il mito americano, quasi sempre schiva - tale da stemperare, corollario brutale, anche i passaggi più drammatici, icastici e di cupa consistenza teatrale se avulsi dal contesto; forzati e un po' convenzionali nel loro mostrarsi orfani inermi di quel respiro che dovrebbe allinearli al ritmo del grande polmone della Storia. Ciò implica, tra l'altro, a fronte di partecipi interpretazioni, in specie quelle dello stesso McGregor e della Connelly, il prevalere nel dipanarsi delle vicende di un insistente senso d'estraneità, di sfasatura tra intenzione e risultato, paradosso involontario di cui proprio lo Svedese è motore e vittima: "un giorno la vita ha cominciato a ridergli in faccia e non ha più smesso" - op.cit -.
TFK
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