Fonte Games.it
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Recensione di Gianluca “DottorKillex”Arena - versione testata xbox one
Tra le software house più prolifiche degli ultimi anni, con numerose uscite annuali su più piattaforme, Ubisoft non sembra risentire di un calendario così affollato, tanto che, a nemmeno un anno e mezzo dal buon successo di Far Cry 4, ci propone un inatteso ritorno alle origini per il brand Far Cry, con uno spin off ambientato nell'Età della Pietra ad opera di Ubisoft Montreal.
Spesso accusata di proporre prodotti troppo simili tra loro, la software house transalpina risponde mescolando le carte in tavola, e confeziona un prodotto che affianca, con grande naturalezza, elementi innovativi ad altri familiari.
Andiamo a vedere quanto mi è piaciuto Far Cry Primal.
Tre tribù, un solo territorio
Come se non fosse già abbastanza coraggioso concentrarsi solamente sul single player (scelta poi rivelatasi azzeccatissima), Ubisoft, pur conscia delle difficoltà intrinseche nello sviluppare un intreccio ambientando il gioco nella preistoria, ha lavorato sui personaggi e sull'atmosfera piuttosto che sull'intreccio, che, infatti, risulta debole se confrontato con quelli del terzo e del quarto episodio: le vicende ruotano attorno alle verdeggianti colline di Oros, una landa incontaminata nella quale, apparentemente, c'è spazio tanto per la fauna quanto per diverse tribù di uomini.
Ma la nostra specie, si sa, è guerrafondaia, egoista e violenta, e così, senza un apparente motivo vista la grande disponibilità di risorse, due tribù si contendono il territorio, ovvero i Wenja e gli Udam.
Takkar, l'alter ego del giocatore, appartiene ai primi, quasi ridotti all'impotenza dagli Udam, scimmieschi nell'aspetto e anche nelle abitudini, nonché cannibali per hobby: dopo una caccia al mammut finita nel peggiore dei modi, il nostro si imbatte in Sayla, una Wenja come lui, che vive nascosta in una grotta per paura degli Udam: dopo essersi guadagnato la fiducia della ragazza salvandola dall'improvviso attacco di una tigre dai denti a sciabola, Takkar si rende conto che il suo popolo può vincere la paura, e con essa gli Udam, solo unito, perché la forza è nei numeri.
Come se non bastassero i violenti Udam, capitanati dall'enorme Ull, a circa metà dell'avventura entra in gioco una terza tribù, gli Izila, maestri del fuoco non meno pericolosi degli Udam, decisi a dire la loro per il dominio delle terre di Oros.
Nonostante l'intera vicenda si riveli un affresco amaro sulla natura dell'uomo (e su quanto questa non sia cambiata poi tanto nel corso di dodicimila anni) e possa contare su un paio di personaggi davvero sopra le righe (tra cui uno sciamano fuori di testa e un vecchio storpio che accoglie Takkar orinandogli addosso), l'aspetto narrativo risente della banalità dello scopo finale e della linearità degli eventi, rivelandosi, probabilmente, l'aspetto meno riuscito della produzione.
D'altronde, non si può sempre dar vita a personaggi del calibro di un certo Vaas Montenegro...
Vedi le foto: Far Cry Primal
The beastmaster
I due cardini su cui poggia il gameplay di Far Cry Primal sono rappresentati dall'equipaggiamento, così differente da tutti i Far Cry fin qui usciti, e dalla capacità del protagonista di domare le bestie, così da schierarle al suo fianco in combattimento: vediamoli nel dettaglio.
Ovviamente privo di qualsiasi arma da fuoco, il sistema di combattimento di Far Cry Primal rappresenta benissimo la violenza e la fisicità dell'Età della Pietra, offrendo al giocatore un ventaglio di armi non convenzionale per uno sparatutto open world ma perfettamente in linea con l'ambientazione: l'arco, la clava (sia ad una mano sia nella variante a due mani) e la lancia saranno gli assidui compagni d'avventura, ognuno con un uso ed un feeling specifico.
L'arco, di gran lunga il mio preferito, consente di tenere un basso profilo, si rivela utilissimo quando c'è da andare a caccia e consente di mantenere le distanze dalle prede, spesso pronte a diventare cacciatori.
La clava apre a soluzioni inedite per la saga, avvicinando il battle system a quello degli ultimi Elder Scrolls di Bethesda o di Dying Light, con una perdita generale in precisione ma una grande soddisfazione quando si maciulla un cranio con un colpo particolarmente violento.
La lancia offre il meglio di sé quando viene lanciata, diventando letale sulla media distanza, ma è probabilmente la meno indicata al corpo a corpo quando si è attaccati da più nemici, eventualità che si verificherà molto più spesso di quanto crediate.
Il feeling delle armi è ben ricreato, e ognuna avrà il suo ruolo all'interno dell'avventura, a seconda delle esigenze: la possibilità di appiccare il fuoco a tutte e tre le armi, poi, consente varianti tattiche insospettabili, sia quando c'è da razziare un accampamento nemico, mettendolo, letteralmente, a ferro e fuoco, sia quando, sfruttando il propagarsi delle fiamme sulle superfici, si possono colpire bersagli in maniera indiretta.
L'altra grande novità è rappresentata dalla possibilità di ammaestrare e schierare poco meno di venti bestie, che vanno dal semplice lupo fino alla famigerata tigre dai denti a sciabola: dopo averli attirati con un'esca e resi docili, questi animali si riveleranno i migliori amici del protagonista, difendendolo da attacchi nemici, avvisandolo della presenza di pericoli in zona e attaccando bersagli a comando.
Ognuno di essi possiede caratteristiche peculiari, che lo rendono particolarmente indicato per certe situazioni: gli orsi attirano su di essi l'attenzione del nemico, ma sono poco indicati per lo stealth, vista la mole, mentre le pantere nere, ad esempio, possono sbranare un soldato nemico senza che nessuno dei suoi compagni se ne accorga.
A questi fedeli compagni di viaggio si aggiunge la possibilità di richiamare un enorme gufo e vedere attraverso i suoi occhi: oltre a marcare i nemici, così da offrire uno spaccato del campo di battaglia, una volta sbloccati gli appositi perk, il pennuto diviene una macchina da guerra volante, che cala sui nemici con una furia sconosciuta alla sua controparte reale.
Vista la grandissima varietà di opzioni disponibili, giocare Far Cry Primal al livello di difficoltà normale sarebbe un'offesa per il lavoro svolto dal team di sviluppo: l'estrema facilità di questo livello non consente di apprezzare il peso della catena alimentare e la sensazione di sentirsi impotenti, magari di notte, dinanzi ad un enorme orso delle caverne.
Fatevi quindi un favore ed optate quantomeno per il livello Difficile, dove ogni colpo conta e difficilmente potrete gettarvi nella mischia come foste dei Rambo preistorici.
Tra tante buone idee, ci sono anche delle cosucce da rivedere, che comunque non impattano in maniera eccessiva sulla godibilità del prodotto: qualche inciampo nelle routine di intelligenza artificiale degli animali addomesticati (in particolare il pathfinding e la scelta automatica dei bersagli), la scarsa utilità di un paio di alberi delle abilità rispetto agli altri e la ripetitività di fondo delle numerose attività secondarie.
Sull'altro piatto della bilancia, oltre a quanto già descritto, ci sono poi missioni di caccia di alto rango estremamente godibili (memorabile la caccia all'orso sfregiato), un ciclo giorno – notte ben fatto, con animali e finanche piante rinvenibili solamente durante le ore notturne, e le consuete attività di management della base, che stavolta prende le fattezze del villaggio Wenja che andremo a costruire e popolare.
Vedi le foto: Far Cry Primal
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