mercoledì 12 febbraio 2020

OSCAR 2020

Oscar 2020


La notte italiana tra il 9 e il 10 febbraio 2020 ha avuto luogo la tanto attesa cerimonia di premiazione degli Oscar. Come da tradizione è stata preceduta da un intenso red carpet che ha visto la presenza di tanti personaggi del mondo dello spettacolo. Tra i tanti merita citare lo stravagante Spike Lee in completo viola bordato di giallo con il numero “24” in ricordo dell’amico, da poco scomparso, Kobe Bryant, ma anche un’elegantissima Natalie Portman con ricamati i nomi di tutte le registe donne non candidate (anche in ricordo della sua presentazione agli Oscar di qualche anno fa “and these are all the MALE nominees”) e una delle più eleganti, in assoluto, Scarlett Johansson con abito lungo. Molto divertenti e simpatici, tanto da conquistare chiunque, i due giovanissimi attori protagonisti di “Jojo rabbit”, Roman Griffin Davis e Archie Yates. E ultima, ma non meno importante la grandissima Jane Fonda che, nello spirito che l’ha sempre contraddistinta e in quello che la sta facendo diventare la “paladina ecologica” per eccellenza, ha “riciclato” lo stesso abito che aveva indossato a Cannes alcuni anni prima.
La cerimonia, forse un po’ più lenta delle scorse, nonostante l’incursione a sorpresa, ad un certo punto, di Eminem ha destato stupore ed interesse nei presenti e in tutti quelli che l’hanno seguita più che altro per i premi consegnati che hanno letteralmente fatto la storia.
Janelle Monae ha avuto il compito di aprire la kermesse con un’esibizione molto bella e molto apprezzata per poi lasciare spazio ai “presentatori”, ai candidati e ai vincitori. Il primo a ritirare il premio è stato Brad Pitt, come miglior attore non protagonista, che ha sorpreso più per il mancato discorso ironico/comico, al quale ormai eravamo tutti abituati, dopo le precedenti vittorie ad altre cerimonie, che per il premio in sé, abbastanza scontato, ma comunque meritato in una categoria incredibile, forse la più “bella” perché contenente effettivamente la storia del cinema, da Tom Hanks a Joe Pesci, passando per Al Pacino e Anthony Hopkins. Subito dopo la prima grande delusione della serata con l’assegnazione del miglior film d’animazione a Toy story 4. Il film Disney ha ottenuto la statuetta, scalzando candidati che sicuramente meritavano molto di più, “Klaus” in primis. Certamente non un cattivo prodotto quello premiato, ma neanche qualcosa di nuovo e ben fatto da meritare questo riconoscimento che dimostra, ancora una volta, la “devozione” dell’Academy nei confronti di film Disney o Pixar. Il film, targato Netflix, “Klaus – I segreti del Natale”, dopo aver ottenuto tantissimi premi in occasione delle cerimonie precedenti, sembrava ad un passo dall’afferrare (meritatamente) quello più ambito, ma ha dovuto, purtroppo, piegarsi. Per fortuna ha comunque trovato l’approvazione di tutto il pubblico che lo ha apprezzato decisamente di più.
La serata è, poi, proseguita con il premio per il miglior cortometraggio d’animazione a Hair Love e quelli alle sceneggiature. E la prima sorpresa della serata arriva proprio con la miglior sceneggiatura originale che va al sud coreano Parasite. Il film di Bong Joon-ho, indubbiamente uno dei migliori della stagione, se non addirittura il migliore, ha ricevuto, più che meritatamente, un premio ambitissimo che moltissimi pensavano sarebbe andato al maestro delle sceneggiature Quentin Tarantino. La miglior sceneggiatura non originale, invece, è andata, quasi come da previsioni, al gioiellino di Taika Waititi, Jojo rabbit. Il film, davvero piacevole, avrebbe sicuramente potuto ottenere di più, ma con i mostri sacri con i quali si è ritrovato a competere purtroppo non poteva chiedere di più.

Altri premi sono stati il miglior cortometraggio, andato a The neighbors’ window, i migliori costumi a Piccole donne, come da copione, con degli abiti decisamente meritevoli di ottenere tale riconoscimento, miglior scenografia a C’era una volta…a Hollywood che ha permesso al pubblico di catapultarsi letteralmente in un’altra epoca, con un’estrema attenzione ai dettagli, miglior documentario a Made in USA – Una fabbrica in Ohio, della casa di produzione fondata dai coniugi Obama e miglior cortometraggio documentario a Learning to Skateboard in a Warzone (if you’re a girl).
Con alcuni intervalli per dare modo e spazio alle canzoni originali candidate di esibirsi, si è arrivati, poi, alla proclamazione della miglior attrice non protagonista, il cui premio è andato alla bravissima Laura Dern, per il suo ruolo in “Storia di un matrimonio”. Un po’ di dispiacere per il mancato riconoscimento a Scarlett Johansson per “Jojo rabbit”, ma la Dern, con l’interpretazione nel film di Baumbach, si è assicurata la statuetta dal primo istante.
Tornando ai premi più tecnici, tra sorprese e delusioni, sono stati assegnati quello per il miglior sonoro a 1917, quello di miglior montaggio sonoro Le Mans ’66 – Ford vs Ferrari, così come quello per miglior montaggio. Se, per i primi due premi, relativi al suono, si può affermare che probabilmente l’Academy è arrivata ad una sorta di compromesso, cercando di premiare, in maniera giusta ed equa, entrambi i film che, del suono fanno grande uso, stessa cosa non si può dire per il premio al miglior montaggio. Anche lo scorso anno questo premio, che dovrebbe essere uno dei più importanti a livello tecnico, o comunque uno di quelli più meritevoli di attenzioni, era stato assegnato ad un film dove il montaggio non era così efficace e ben sfruttato. Anche nel 2020 si è ripetuta la stessa cosa. “Le Mans ’66 – Ford vs Ferrari” è sicuramente un film piacevole, ma nel quale è esclusivamente la componente sonora quella che merita. Avendo tra i candidati film come “Parasite”, “The Irishman”, ma anche lo stesso “Jojo rabbit”, è praticamente inammissibile e inconcepibile assegnare questo premio ad un film del genere. Peccato.
La miglior fotografia è, poi, andata più che meritatamente a Roger Deakins per 1917, sottolineando, in questo modo, forse uno degli aspetti centrali del film, ma lo stesso lungometraggio si è aggiudicato anche il premio per i migliori effetti speciali, riuscendo a sconfiggere candidati Disney che, degli effetti speciali, hanno fatto il loro punto di forza. Proseguendo il premio per miglior trucco e acconciatura è andato a Bombshell, mentre uno dei premi più prevedibili dell’intera kermesse, cioè quello di miglior film internazionale è andato a Parasite che ha letteralmente sbaragliato la concorrenza.
Spazio, poi, alla musica con i premi ad essa relativa e, nello specifico, miglior colonna sonora andato a Joker (importante ricordare che è la terza donna nella storia della kermesse ad aggiudicarsi questo premio), meritatissimo e senza rivali, tanto da essere già diventata riconoscibilissima e iconica (basti pensare all’entrata di Fiorello al festival di Sanremo, tanto per dirne una) e quello di miglior canzone originale andato a (I’m gonna) love me again di Elton John e Bernie Taupin per “Rocketman”, film musicale, forse un po’ troppo snobbato dall’Academy, ma che riporta a casa un premio importante proprio per il ruolo di primo piano della canzone (e della musica in generale).
Gli ultimi quattro premi sono quelli per gli attori protagonisti, quello per la regia e quello più ambito di miglior film.
Il miglior attore protagonista, come previsto, è risultato, a ragione, Joaquin Phoenix per la sua magistrale interpretazione in “Joker”, film che poggia interamente sulla sua performance, degna di rimanere nella storia del cinema. Commuovente il discorso e soprattutto il riferimento al fratello River, andatosene in giovane età, proprio tra le braccia di Phoenix. Una curiosità interessante a proposito di questo premio strameritato (nonostante la grandissima bravura anche di tutti gli altri candidati, uno su tutti Adam Driver che, come unico errore, ha quello di aver scelto male i tempi perché senza Phoenix a contrastarlo avrebbe vinto a mani basse) è il fatto che il personaggio di Joker è il secondo, nella storia, a ricevere due statuette in due film diversi venendo interpretato da due attori diversi: prima Heath Ledger (oscar postumo) e adesso Joaquin Phoenix. L’altro è stato Don Vito Corleone che ha permesso l’ottenimento del premio oscar prima a Marlon Brando e poi a Robert De Niro.
Il premio come miglior attrice protagonista è andato a Renée Zellweger per la sua Judy Garland nel film “Judy”. Riconoscimento doveroso, meritato e, secondo le previsioni, abbastanza scontato, nonostante la candidata subito dietro a lei (Scarlett Johansson) potesse meritarlo quanto lei (se non, addirittura, per certi versi, anche di più). L’interpretazione della Zellweger è stata bella e intensa anche perché lei ha messo tutta se stessa non solo nella recitazione, ma anche e soprattutto nel canto, davvero sublime.
Al termine della kermesse gli ultimi due premi che sono stati anche i più sconvolgenti. Il primo è stato quello per la miglior regia andato a Bong Joon-ho, visibilmente emozionato e positivamente sconvolto tanto da dire, nel discorso di ringraziamento, che pensava di poter andare a casa dopo il premio come miglior film internazionale. Da menzione speciale i ringraziamenti veri e sinceri agli altri quattro registi che non hanno ottenuto la statuetta: il ringraziamento a Tarantino per il fatto di andare oltre i film americani, il desiderio di voler dividere il premio in più parti per consegnarlo a tutti, soprattutto a Mendes e Philipps e la meravigliosa e doverosa standing ovation al maestro Martin Scorsese (protagonista, durante la serata, di un breve “dormiveglia”), il grande dimenticato della serata che, con ben 10 candidature, non è riuscito purtroppo a riportare a casa nemmeno una statuetta. Una regia perfetta e impeccabile, senza dubbio, quella del sud coreano, ma forse, anche per par condicio, avrei puntato su Sam Mendes che, con il suo “1917” ha dato prova di essere davvero molto abile.
Ultimo, e più agognato, premio è stato quello di miglior film andato, a sorpresa, di nuovo a Parasite. Per la prima volta, in 92 anni, il premio di miglior film va ad una pellicola non in lingua inglese. Si tratta di un traguardo davvero storico quello raggiunto dal film capolavoro del sud coreano e di un premio davvero meritato, ma, al contempo, anche inaspettato. Proprio perché aveva già ottenuto il premio come miglior film internazionale, nessuno si sarebbe mai immaginato che potesse letteralmente “sbancare” ottenendo le quattro statuette più importanti in assoluto. Tanto di cappello a Bong Joon-ho e a tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di un film che è già un pilastro della storia del cinema.
E adesso tutti a bere insieme a Bong Joon-ho e a tutta la troupe di Parasite!
Veronica Ranocchi

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