The Irishman
di Martin Scorsese
con Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci, Harvey Keitel, Bobby Cannavale
USA, 2019
genere, drammatico
durata, 210
"The Irishman", ovvero e volendo "l’uomo che uccise Jimmy Hoffa". Il sottotitolo inventato per l'occasione potrebbe cioè fare da utile vademecum allo spettatore che si appresta a vedere il nuovo film di Martin Scorsese, il quale ispirandosi al libro di Charles Brandt - "I Heard You Paint Houses" - racconta cinquant'anni di storia americana attraverso la vicenda di Frank Sheehan/De Niro, veterano di guerra assoldato dalla mafia nel ruolo di sicario e diventato nel corso degli anni uno degli uomini fidati dell’organizzazione, come pure stretto sodale del celebre sindacalista Jimmy Hoffa/Pacino, al quale viene avvicinato da Russel Bufalino/Pesci, boss di Chicago e grande mediatore tra le famiglie dell’organizzazione.
Come già si vede da queste prime note il regista newyorkese non fa sconti né a se stesso - a dire, al suo cinema - né al pubblico, portando sullo schermo, allo stesso tempo, la storia privata di un gruppo di uomini uniti dal patto criminale e il grande affresco di una società, quella americana, in cui i valori, le dinamiche e i rapporti sono subordinati alle logiche stringenti del capitale e - perché no - all’avidità del singolo. Se a prima vista tutto questo potrebbe sembrare esagerato, essendo il film in questione prima di tutto un mob movie, in realtà la grande ambizione di Scorsese è stata, e non da ora, non quella di confinare il microcosmo criminale, in particolare quello italoamericano, all’interno di un genere, quanto di fare dello stesso l’epitome di un sistema assai più stratificato e pervasivo coincidente non solo con la stessa società a stelle e strisce, ma addirittura con quella dell’intero mondo occidentale.
Così facendo, e questa volta ancora di più, "The Irishman" si occupa di illustrare le vicende interne all’unione criminale, sviluppandole attraverso una serie di personaggi di eguale importanza e nel contempo di rappresentare la cronaca del mondo con cui essa si confronta, e dunque, nel caso specifico, con la politica anticastrista dei fratelli Kennedy, come pure con i contrastati legami stretti con la mafia da Jimmy Hoffa, leader del comitato sindacale degli autotrasportatori e, attraverso questo, gestore di un ingente fondo pensionistico pressoché al di fuori di ogni controllo. Considerando poi la lunghezza fuori dalla norma (210’), era nella volontà del regista quello di dare spazio a ognuno dei molti filoni narrativi che emergono dal resoconto sceneggiato da Steven Zaillian, in cui quello dedicato al rapporto tra Hoffa e Sheeran è solo uno dei tanti, certamente quello che nell’ambito del film riveste il peso drammaturgico maggiore ma, ad esempio, non quello a cui Scorsese affida le battute migliori, diluite nel corso della storia attraverso gli assoli, i confronti e la dialettica tra i vari fuoriclasse messi in campo.
Preceduto dall'attesa mediatica di appassionati e addetti ai lavori, come si poteva prevedere "The Irishman" non sposta di una virgola quello che fin qui è stato detto a proposito del cinema di Scorsese, più o meno uguale alle coordinate di sempre anche quando, come stavolta, il destinatario non sarà il pubblico della sale ma quello - casalingo - di Netflix, la piattaforma che ha prodotto il film e nella quale sarà possibile vederlo a partire dal mese di Novembre dopo un rapido passaggio nelle sale a cura dalla cineteca di Bologna. Detto questo, lo sguardo di Scorsese sembra fare suo il passo dei protagonisti adeguandosi all’incombente senilità di un immaginario arrivato alla fine della sua parabola di cui "The Irishman" rappresenta probabilmente l'ultimo atto, come testimonia peraltro la scelta di chiamare a raccolta per un'ultima passerella (vista l'età) tutti gli attori che a partire dagli esordi fino a oggi hanno avuto modo di essere a turno icone del suo cinema. Le conseguenze dal punto di vista stilistico saltano infatti all’occhio e riguardano non tanto l'inalterata grandeur cinefila, come sempre mirata a un personalissimo manierismo, o un montaggio - affidato alla fida Thelma Schoonmaker - capace di sintetizzare con massima fluidità le oltre tre ore di minutaggio, quanto la presenza di una macchina da presa che rinuncia in parte all'energia dei dolly e delle carrellate preferendo riprese più statiche, quasi compassate, in perfetta sintonia con la souplesse dei consumati protagonisti e, in fondo, della storia stessa. Con questo non si vuole dire che "The Irishman" sia un film rinunciatario rispetto alle tensione cinematografiche che lo percorrono (anche se è vero che il tasso ematico resta al di sotto del livello di guardia): è pero innegabile che la bravura di Scorsese in questo caso privilegi quella che potremmo definire una dimensione orizzontale, tanto cara al pubblico più giovane (snodi lineari e consequenziali; immagini esplicite; dialoghi alimentati da un cinismo ai limiti del non senso) assestandosi, di fatto, nella categoria dei film che faticano a entrare sotto la pelle. A restare invece saranno di sicuro le interpretazioni degli storici campioni scorsesiani ai quali De Niro, Pacino e, per chi scrive, un inarrivabile Joe Pesci, offrono il manifesto trasversale del celebre metodo. Questo sì degno di essere studiato nelle scuole e magari riscoperto.
Carlo Cerofolini
(pubblicato ondacinema.it)
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