Sorry we missed you
di Ken Loach
con Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone
Regno Unito, Belgio, Francia, 2019
genere: drammatico
durata, 101’
Ken Loach torna alla ribalta con un film dove a farla da padrona è una situazione (disperata) attuale. Ricky e Abby sono una coppia che cerca di mandare avanti la propria famiglia, formata anche dall’adolescente Seb che sembra fare di tutto per non aiutare e dalla piccola Liza che, invece, sembra la più coscienziosa dell’intera famiglia, sempre pronta a trovare una parola di conforto o di sistemazione per chiunque. Purtroppo la crisi economica non gli permette di vivere la vita che hanno sempre sperato e sono costretti a rinunciare a molte cose, come, ad esempio, l’acquisto della loro prima casa. Per poter, però, permettere almeno una vita dignitosa ai propri figli prendono delle decisioni importanti. Una di queste è sicuramente quella di far vendere la macchina di Abby, che la donna utilizza per spostarsi da un cliente all’altro, essendo badante a domicilio, per far acquistare a Ricky un furgone in modo da renderlo un corriere autonomo per una grande ditta di consegne. Purtroppo non tutto va secondo i piani della famiglia e, oltre al coinvolgimento in tantissime problematiche lavorative, Ricky deve fare anche i conti con il comportamento del figlio.
Una tematica importante e attuale quella portata sullo schermo da Ken Loach che, attraverso una semplice famiglia, riesce a fornire diverse sfaccettature e visioni della situazione. I modi dei quattro personaggi principali per affrontare la vita e la conseguente crisi sono completamente diversi.
Se i figli hanno due visioni opposte e contrastanti, con una Liza che cerca di rimediare a qualsiasi cosa, il modo di reagire di Seb è tutt’altro che positivo, andando, alla lunga, a rappresentare un problema non solo per lui, ma per chiunque. E una versione ancora diversa ce l’abbiamo con i due genitori. Abby sembra riuscire a scendere a compromessi e accontentarsi di qualsiasi cosa, seppur in minima parte. Cerca costantemente di vedere il bicchiere mezzo pieno e di dare conforto anche a chi la circonda, rimediando a qualsiasi problema le venga posto. Ricky, invece, è la situazione opposta: si arrende subito, vede tutto negativo, ma, al tempo stesso, non ha la forza di reagire e subisce quasi del tutto passivamente ciò che gli viene imposto.
Inevitabile lo schierarsi con la parte debole, quindi con tutta la famiglia Turner, ma a sua volta, all’interno, non si può non provare empatia con Ricky e pensare come lui a qualsiasi modo per evadere da una realtà troppo stretta. Nonostante la remissività della moglie, sembra inconcepibile accettare il suo stile di vita. A livello tecnico gli elementi che colpiscono sono gli stacchi scuri continui che sembrano quasi strizzare l’occhio a una resa incondizionata della situazione, che vanno di pari passo con la quasi totale assenza di musica che indica, invece, la veridicità dei fatti e la realtà nuda e cruda, nella quale non c’è finzione cinematografica, non ci sono intervalli “poetici”, ma il continuo incedere dei fatti.
Veronica Ranocchi
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