sabato 22 giugno 2019

CARMEN Y LOLA: INTERVISTA ALLA REGISTA DEL FILM ARANTXA ECHEVARRIA




Racconti una doppia esclusione dovuta alle differenze di genere e di razza perché le protagoniste oltre a essere gitane sono anche due donne che hanno il coraggio di amarsi. Considerato che al di fuori della comunità d’appartenenza l’amore tra Carmen e Lola non viene messo in discussione, il film sembra dirci che almeno in Spagna gli ostacoli alla felicità dipendono più da retaggi ancestrali e dinamiche famigliari che dalla società intesa come insieme di tutti i cittadini.

In realtà, quello di cui volevo parlare era una tripla discriminazione derivata dal fatto di essere donna, gitana e diversa, alludendo con questa ultima accezione all’omosessualità di Carmen e Lola. Credo che le problematiche che si incontrano nel film sono le stesse che riguardavano le nostre nonne, destinate a soffrire per i medesimi impedimenti. Mia madre mi diceva sempre di fare quello che veramente sentivo, senza dipendere da alcun uomo. Casomai, solo dal fratello (ride, ndr). Sicuramente in Italia è abbastanza simile. In Carmen & Lola volevo comunque trascendere questa particolarità per parlare delle donne in generale: la storia mostra che se tu decidi di amare in un modo diverso da quello standard ti devi sempre confrontare non solo con questa scelta ma anche con il fatto di essere donna. Dunque, c’è sempre una doppia marginalità, una doppia oppressione con cui misurarsi.

Carmen & Lola sembra una storia d’amore d’altri tempi, a partire dall’utilizzo della forma epistolare con cui le ragazze esplorano i sentimenti e le sensazioni dell’innamoramento. Scrivere alla donna amata diventa anche un modo per renderli oggettivi attraverso qualcosa di tangibile e materiale.

Mi fa piacere che tu lo abbia notato e anche detto perché è la prima volta che succede. Questo dettaglio si riferisce anche al fatto di avere una cosa fisica dell’altra. Un bisogno segnalato anche dalla presenza della scatola in cui Lola custodisce le lettere di Carmen. Un particolare, questo, che mi serviva per aumentare il senso di tale urgenza. La scrittura è anche un modo per stabilire un confronto con le passate generazioni, in cui padre e madre non sanno scrivere, mentre la figlia, seppur con errori ortografici, invece si.



Sempre parlando del confronto tra padri e figli, questo espediente funziona anche come metafora del superamento di un certo modo d’amare, o se vuoi come manifestazione di un modo più libero di stare insieme.

Sono d’accordo.


A risultare efficace è la maniera in cui racconti l’amore. Nel film non ci sono scene di sesso e questo riesce a fare emergere la poesia, il desiderio e, soprattutto, il fatto che le protagoniste si prendono cura una dell’altra.

Diciamo che questa è una scelta da ricondurre al ricordo del primo amore, il cui lascito è molto più sensuale che erotico. I gesti, uno sguardo, i dettagli di una porzione di corpo prevalgono sulle pulsioni della carne, senza contare che è molto più sessuale la vista di un corpo nudo sfiorato dalla prima luce del giorno oppure il lasciarsi vestire dalla persona amata, anziché un orgasmo esplicito ma per forza di cose simulato.

La verità del film deriva anche dalla gestione dei personaggi. Mi riferisco alla fluidità dei ruoli all’interno della coppia e al fatto che all’inizio è Lola a rendere Carmen consapevole del loro amore, mentre con il succedersi degli eventi le posizioni si invertono ed è Carmen a rinsaldare il legame tra le ragazze.

Questo arco dei personaggi era molto voluto. In questo senso, il personaggio di Lola sembra molto spinto e all’inizio lei appare molto coraggiosa. In realtà, nel fondo della sua anima, non vuole lasciare fratelli e genitori. Una volontà che diventa esplicita quando la madre la dice di andarsene e lei non le dà retta, affermando di voler continuare a fare parte della famiglia. Al contrario, Carmen, dopo le titubanze iniziali, si rivela temeraria al punto di prendere in mano la situazione, rompendo gli indugi e trascinando l’altra con sé.


Le protagoniste si muovono in un ambiente ripreso con stile e tecniche tipiche del documentario. Se le attrici recitano una parte così non succede per il mondo circostante che esiste e vive al di là della macchina da presa. In relazione a questo aspetto, parliamo di come hai organizzato il dispositivo del film.

L’approccio tecnico ha seguito tre fasi: all’inizio, l’intenzione era quella di immergere lo spettatore nei riti della comunità gitana, nel tentativo di raccontarla non solo agli spettatori stranieri ma anche a quelli spagnoli. C’era bisogno di prendere lo spettatore per il collo, trascinandolo dentro la storia. Da qui la scelta di adottare un taglio documentaristico in cui giravamo con una macchina in spalla per far arrivare ogni dettaglio di quella realtà. Non appena inizia la storia d’amore, la macchina da presa si calma, diventando sempre più statica per corrispondere ai fatti con un cinema molto più narrativo e, in questo senso, più classico. Dopodiché, l’idea era quella di arrivare a un realismo magico, reso evidente dalla scena della piscina dismessa dove Lola insegna a Carmen a nuotare e tu senti – forse, senza neanche rendertene conto – il suono dell’acqua. Avevo paura che tale suddivisione rendesse il film poco organico, per cui la sfida è stata quella di fare dei tre atti in questione le diverse fasi dello stesso viaggio.

Per un film del genere, l’alchimia delle protagoniste è stata fondamentale, ma anche chi sta intorno a loro si distingue per bravura e immedesimazione. A questo proposito, ti voglio chiedere qualcosa sulla scena più drammatica del film, quella in cui il padre di Lola, scoprendo la relazione delle ragazze, va fuori di testa e sembra sempre sul punto di commettere un atto irreparabile nei confronti della figlia. L’afflizione dei personaggi e la loro angoscia sono talmente forti da risultare insostenibili. Come si riesce a raggiungere un tale livello di verosimiglianza?

In realtà, si è trattato di un momento molto complicato perché quando ho finito la ripresa l’attore che interpretava il padre si è appartato in un angolo e ha iniziato a vomitare, mentre una delle ragazze è svenuta. Loro non sono attori professionisti quindi giravano pochissimi ciak, tre o quattro al massimo. Nel caso specifico ho esercitato su di loro un po’ di pressione per arrivare al climax necessario per rendere al meglio la tensione di quel momento della storia. Il modo è stato quello di ricondurre gli attori alla loro vita personale. Moreno Borja, (nel film Paco, il genitore di Lola, ndr) ha una figlia che ha gli stessi anni di Lola per cui continuavo a dirle di immaginare cosa avrebbe fatto se avesse scoperto che lei era lesbica. Non ho smesso di ricordarglielo fino a quando il livello di tensione è risultato tale da poter rendere la drammaticità della scena. Si è trattato del momento più duro, quello in cui ho chiesto di più ai miei attori.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su Taxidrivers.it)

0 commenti:

Posta un commento