La verità dell’Alligatore Daniele Vicari ovvero quando si dice che oramai le serie televisive non hanno nulla da invidiare ai prodotti cinematografici. Il pensiero va subito a quelle realizzate negli Stati Uniti in molti casi in grado di ben figurare anche sul grande schermo e non solo su quello delle varie piattaforme. Fa dunque piacere poter dire la stessa di un progetto nostrano e nella fattispecie del primo dei quattro episodi della serie dedicata alle avventure di Marco Buratti alias L’alligatore, il detective privato inventato dalla penna di Massimo Carlotto, dal 18 novembre in programma su RayPlay e in anteprima assoluta ad Alice nella Città che per presentarlo ha scelto una location speciale come La Nuvola di Fuksas, facendo dell’eccezionalità architettonica di tale spazio il riflesso di un lavoro altrettanto speciale poichè pensato con sguardo, durata e struttura narrativa simili al corrispettivo cinematografico. In aggiunta bisogna sottolineare come i fatti narrati ne La verità dell’Alligatore – questo il titolo del primo segmento – non sono solo il frutto di una storia autoconclusiva ma anche il risultato di un minutaggio uguale a quello di un film. Particolari non trascurabili soprattutto in termini drammaturgici dal momento in cui La verità dell’alligatore assume su di se la responsabilità di tenere alta la tensione e stimolare l’empatia senza avvalersi della possibilità di stimolare il coinvolgimento del pubblico attraverso l’apertura di filoni narrativi lasciati in sospeso in vista delle puntata successiva. Detto ciò il suddetto episodio ha dalla sua il vantaggio di raccontare un personaggio fuori dall’ordinario a partire dalla mancanza dei titoli utili all’esercizio della sua professione (normalizzazione che lo rende ancora più vicino allo spettatore) unita al fatto di far coincidere la peculiarità del paesaggio italiano (Padova e d’intorni suggellati da campi lunghi onnicomprensivi) con i topoi del noir americano di cui però La verità dell’Alligatore accentua la componente di disperazione fornita dalla laconica desolazione del territorio lagunare in cui si rifugia il protagonista oltreché dai “bovarismi” di una provincia in lotta con i propri fantasmi.
Per trasformare la letteratura in cinema Vicari (showrunner dell progetto diretto insieme a Emanuele Scaringi) si avvale della squadra di sempre – dal produttore Domenico Procacci al direttore della fotografia Gherardo Gossi – e della sceneggiatura di Andrea Cedrola e Laura Paolucci optando per un approccio diretto e meno espressionista di altre occasioni a partire dall’uso di luci trasparenti e dunque poco contrastate, volte a suscitare un punto di vista sul male della condizione umana più “refertuale” che introspettivo. Pur affondando senza reticenza nel cuore del problema mostrandone le bassezze e i contorcimenti La verità dell’alligatore stempera la tragedia con l’oggettività della messinscena e il romantico disincanto del protagonista e di quello molto più risoluto e per certi versi tarantiniano offerto da Beniamino Rossini (Thomas Trabacchi), riuscendo a filmare il racconto assecondando le malinconie delle note jazz and blues che accompagnano le serate alcoliche del protagonista al quale l’ottimo Matteo Martari oltre alla risaputa fisicità regala una gamma di sfumature congrue alla complessità di un personaggio destinato a conquistare il cuore dello spettatore. Abituato ad associare l’impegno tematico alla tensione narrativa Vicari continua a raccontare gli eroismi delle persone comuni. In televisione lo aveva già fatto con Prima che la notte: La versione per immagini dei romanzi di Carlotto proseguono nella stessa direzione.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)
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