lunedì 10 agosto 2020

THE OLD GUARD


The Old Guard
di Gina Prince-Bythewood 
con Charlize Theron, Matthias Schoenaerts, Luca Marinelli
USA, 2020
genere, thriller, fantascienza, drammatico
durata, 125'


Atteso alla prova per la fascinazione esercitata dai suoi interpreti, The Old Guard, diretto da Gina Prince-Bythewood si presentava alla verifica del pubblico portandosi appresso l’etichetta di solito attribuita ai film della Marvel e cioè quella matrice fantastico avventurosa derivata dal carisma e dai super poteri dei personaggi.

Nel caso specifico si trattava di capire in quale maniera sarebbe stata resa la specificità della storia ovvero l’immortalità dei membri della squadra di agenti speciali capitanata da Charlize Theron, leader incontrastata di un manipolo di coraggiosi formato tra gli altri da Matthias Schoenaerts e il nostro Luca Marinelli, al suo esordio in una produzione americana.

Trasposizione cinematografica dell’omonimo fumetto di  Greg Rucka The Old Guard conferma il brand tipico del genere facendo della contaminazione il suo punto di forza e dunque trasfigurando all’interno della storia situazioni  iconografie e dinamiche derivate da altri film, a cominciare dal contesto cosmopolita, figlio di quella globalizzazione che da Alias (serial creato da J.J. Abrams) in poi ha visto l’ambientazione di film e serie create mettendo insieme luoghi e città sparsi in ogni angolo di mondo. Una frammentazione territoriale che da una parte favorisce l’idea di mobilità e la necessità di esotismo proprie del genere, dall’altra, nella scenografia desertica e arcaica di certi paesaggi, è utile a evocare un cult come Mad Max: Fury Road suggerito dal piglio e dalla determinazione di Andy, il personaggio della Theron, per certi versi simile a quello interpretato dalla stessa nel film di George Miller. Similitudini che si ritrovano anche nell’empatia esistente tra i protagonisti il cui come nel Sense8 di Lana e Lilly Wachowski a dominare è una pansessualità interraziale e una percezione extra sensoriale, capace di rompere le leggi spazio temporali e di manifestare la presenza dell’altro anche a migliaia di chilometri.

Così se la prerogativa del film è data dall’eccezionalità dei personaggi, dalla straordinarietà del loro sentire e dalla capacità dei singoli di non farsi corrompere dalle tentazioni del male, a fare la differenza  è il fatto che a interpretarli ci siano attori in grado di arricchirli del proprio immaginario: soprattutto la Theron, ancora una volta a suo agio nei confronti corpo a corpo e nella fisicità da amazzone che ne contraddistingue le interpretazioni più dinamiche e spericolate (ricordiamo non solo Neon Flux ma soprattutto Bionda Atomica) e almeno per quanto riguarda l’Italia Luca Marinelli, alle prese con un ruolo si secondario ma di quelli utili ad aprire la strada per eventuali e più importanti esperienze internazionali, e ancora Matthias Schoenaerts, già abituato a queste latitudini e non a caso partner principale – anche in termini di minutaggio e primi piani – della Theron.


Quest’ultima, ancora una volta dopo Bombshell alle prese con un ruolo che ne ribadisce la coscienza militante, ravvisabile non solo nella leadership del ruolo ma nel farsi promotrice di un film che attraverso i roghi e le torture della caccia alle streghe – rievocati in uno dei  numerosi flashback – non perde occasione di denunciare la violenza della società degli uomini e che per la prima volta  ci presenta un reparto dei  Marines formato da sole donne nella scena in cui una di esse è destinata a scoprire il suo potere.

Ciò detto The Old Guard denuncia i difetti riscontrati in altre produzioni Netflix ovverosia una prevedibilità narrativa e di caratterizzazione dei personaggi derivante dalla necessità di essere comprensibile a livello planetario e quindi dall’obbligo di normalizzare peculiarità che risulterebbero incomprensibili a una parte di pubblico.

Esemplare in tal senso è la figura antagonista, il capo di una potente Big Pharma, tratteggiato con caratteristiche troppo stereotipate e sopra le righe per risultare minaccioso e temibile come la storia vorrebbe farci credere.

La conseguenza più vistosa è quella di una drammaturgia che non riesce a giustificare fino in fondo il tormento dei protagonisti le cui afflizioni sembrano più un espediente di sceneggiatura che la conseguenza degli eventi mostrati. Come spesso succede anche qui il finale aperto lascia supporre che per  Andy e soci la partita non è ancora finita.
Carlo Cerofolini
(pubblicata su taxidrivers.it)

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