A Hidden Life
di, Terrence Malick
con, August Diehl, Valerie Pachner, Maria Simon, Michael Nyqvist, Matthias Schoenaerts, Jürgen Prochnow, Bruno Ganz
Germania, USA, 2019
genere, drammatico
durata, 175’
L'occhio, viziato da una mostruosa costrizione a vedere lontano [...] viene costretto qui a
cogliere con acutezza ciò che è più vicino, il tempo, ciò che ci circonda. [...] Parlando da un punto
di vista teologico, fu Dio stesso che, terminato il suo compito, si mise, in forma di serpente, sotto
l'albero della conoscenza: cercava così sollievo dall'essere Dio... Aveva reso tutto troppo bello...
— F. Nietzsche, "Ecce Homo” —
Le montagne dell'alta Austria, argini spirituali prima ancora che geografici. A introdurre, però, le immagini di repertorio di Hitler acclamato dalla folla, accompagnate da una musica che le estromettono dalla mera funzione di documentazione storica facendone una sorta di liturgia macabra, iniziano a indirizzare oltre quelle cime nubi di colorazione prossima al nero assoluto. Se è vero che in Natura per ogni elemento ne esiste un altro sua contraddizione pura, sulla scia dell'esempio precedente possiamo affermare che per ogni fiume c'è una diga pronta a fermarlo e che per ogni diga c'è un fiume pronto a fare breccia. A risolvere il paradosso, nel caso specifico di "A hidden Life", c'è un umano-troppo-umano, al secolo Franz Jägerstätter, che Malick non pone come martire - strizzando l'occhio al sopra citato Federico, che i martiri li aveva già seppelliti dalle prime battute de “L’Anticristo” - ma semplicemente come argine ulteriore e imprevisto.
Franz - il film è ispirato alla sua storia vera - si dedica alle tre Madri - la Terra che coltiva, la Madre naturale e la Madre dei suoi figli - incarnando sostanzialmente un essere umano antico che con la Natura non vive un rapporto estetico ma morale. Questo fino a quando non viene chiamato alle armi per servire il regime Nazista durante la Seconda Guerra Mondiale, decidendo per la dissidenza e dunque per l'inevitabile condanna. Tutto il percorso interiore del personaggio viene attraversato dai consueti flashback, da meditazioni errabonde e placidi silenzi grandangolari alternati a sguardi, gesti e paesaggi elevati spontaneamente al di fuori di una connotazione temporale propria della materia.
Per paradosso, nella visione cristologica di Malick, la fede non è più quella componente etica insita nell'uomo per risolvere i conflitti del cosmo - il riferimento è alla visione antropocentrica di "The Tree of Life" e di "To the Wonder" - ma diventa la colonna portante del dramma umano in quanto tale, annullando di fatto la distanza con la Morte in una sequenza finale che con pochissimi stacchi di montaggio riesce a disarcionare la Storia dalla sella del Presente: il sole, il silenzio vuoto e poi di nuovo le montagne. Per il regista texano Franz altri non è che Cristo senza retorica e senza apostoli, amato dagli altri, amante di sé stesso e viceversa, che non cede mai al peso della pressione sociale né al fascino della seconda possibilità. Malick depone quindi i personaggi ultramoderni - nichilisti perché già annichiliti, ossia morti in partenza - di "Knight of Cups" e "Song to Song”, e si dedica all'introspezione di un individuo - nel senso puro del termine, in quanto agisce per sé stesso e in sé stesso - che muore perché, con ogni probabilità, ha ancora qualcosa per cui vale la pena vivere.
Antonio Romagnoli
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