Una famiglia vincente - King Richard
di Reinaldo Marcus Green
con Will Smith
USA, 2022
genere, drammatico, sportivo
Da una parte dunque film come “Il potere del cane”, capaci di spalmare la vena autoriale sulle diverse componenti del loro dispositivo, dagli attori alla fotografia, dai costumi alla sceneggiatura e più di tutti a chi ne è “padrone”, dall’altra, prodotti quali “Una famiglia vincente”, in cui tutto sembra ordinato e giustapposto in funzione del mattatore di turno. Nel caso specifico Will Smith, chiamato a interpretare il (famoso) padre delle sorelle più vincenti del tennis, capaci di sommare qualcosa come 123 tornei, Grande Slam compresi.
Imitando la realtà ma neanche troppo (alcuni degli aspetti più controversi della questione vengono lasciati fuori, oppure come si conviene a un film mainstream, accennati in maniera addolcita, King Richard (questo il titolo originale, ndr) ha un unico obiettivo, quello di mettere in risalto non tanto le imprese tennistiche delle sorelle Williams, quanto l’onnipotenza del loro genitore, un vero e proprio desposta quando si tratta di programmare il futuro tennistico ma anche esistenziale delle campionesse in nuce.
Contando sulla planetaria notorietà dell’argomento e sulla gesta di Venus e Serena, ancora attive sui campi da tennis di tutto il mondo, e dunque potendo lasciare ai margini del racconto le immagini del repertorio sportivo senza il rischio di attenuarne la straordinarietà, “Una famiglia vincente” diventa il racconto esistenziale di un sogno americano molto simile a quello con cui Smith aveva sfiorato la vittoria dell’Oscar. Una ricerca della felicità, quella di Richard Williams che appassiona non solo per la caparbietà di portare avanti una scommessa impossibile con metodi di cui lo stesso è rimasto unico antesignano, ma soprattutto per il fatto di trascinarsi dietro l’empatia che da sempre accompagna il riscatto degli umiliati e offesi a cui il nostro apparteneva di diritto.
Per farlo il regista Reinaldo Marcus Green apparecchia uno spettacolo in cui linearità narrativa e montaggio invisibile sono le armi per non togliere il protagonista dalla centralità del quadro, esaltandone le caratteristiche di eccezionalità.
Edificante ed edulcorato quanto basta per non interrompere il feeling con lo spettatore “Una famiglia vincente” ci accompagna senza sussulti ma con grande scioltezza al traguardo finale, non prima di aver fatto fare un figurone al suo primo interprete, artefice di una recitazione manierata ma puntuale nel restituire l’immagine di un uomo controverso ma vincente, almeno per quanto riguarda l’apprendistato della sue bambine. Il film è godibile ma dimenticabile. A parte Will Smith che ricorderemo per aver vinto il suo primo Oscar come migliore attore protagonista. Non è sicuro ma molto probabile.
Carlo Cerofolini
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