domenica 24 ottobre 2021

Invisibili: Dene Wos Guet Geit

Dene wos guet geit


di: Cyril Schäublin

con: Sarah Stauffer, Fidel Morf, Nikolai Bosshardt, Liliane Amaut, Daniel Bachmann

- Svi 2017 -

70’



Aspettati veleno dalle acque immobili

— W.Blake —


Capita talvolta, e per nessuna particolare ragione, di essere portati ad assecondare lo strisciante sgomento che accompagna - tipo basso continuo - lo svolgersi dei nostri giorni frenetici e immemori. E ciò magari anche perché quella lata deficienza di senso che da essi traspare, quella subdola impressione di generica inconsistenza divenuta nei decenni così familiare - a dire la rivelazione della di lei consustanzialità al modo di vivere moderno - sembra per beffardo contrasto essere paragonabile solo alla sicumera con cui essa per contro reitera gli stranoti ritornelli a base di affermazione e appagamento.

Siffatto sentore sovente precede e segue lo svolgersi delle scabre vicende contenute in un’opera come “Dene wos guet geit” (pure titolare di una intestazione anglosassone, complice la maggiore fruibilità della medesima, ossia “Those who are fine”), di Cybil Schäublin, ambientata nella Zurigo contemporanea e centrata, a mo’ di non esplicita epitome, sui comportamenti di Alice/Stauffer, giovane addetta di un call center incaricata, secondo protocollo, di magnificare le virtù di una compagnia assicuratrice in campo sanitario, invero molto più interessata a carpire dati utili (pare che in Svizzera, e per via telefonica, un sostanziale sconosciuto possa chiedere al suo interlocutore anche l’ammontare del conto corrente bancario…) a confezionare successivamente, a danno di una clientela scremata di preferenza sul profilo di anziani abbienti-e-soli, sostanziose truffe consistenti per lo più nel collaudato schema in base al quale fingersi in prima battuta parenti in difficoltà economiche per contingenze impreviste e spacciarsi poi, al momento della consegna del denaro, per amici stretti del suddetto congiunto, guarda caso sempre impossibilitato a presentarsi di persona. La citata prassi si alterna narrativamente ai concomitanti controlli preventivi operati per le vie della città dalle forze dell’ordine in tenuta anti-sommossa, causa un non meglio specificato allarme-bomba.


Messa così, ovvero per sommi capi, parrebbe di essersi imbattuti nell’ennesimo intreccio complottistico con addentellati criminali. Al contrario, l’autrice spoglia, da subito e senza reticenze, la progressione drammatica - e, di conseguenza, torce l’impostazione espressiva - di ogni residualità ascrivibile al genere e si orienta verso la costruzione di inquadrature protratte e quasi statiche, di una qual sinistra soavità (giocate come sono sulla finta arrendevolezza di talune tinte pastello: i grigi tenui, i bruni spansi, i chiari opachi; sulle geometrie essenziali quanto fredde delle architetture; sulla funzionalità accessibile ma scostante degli arredamenti), preferibilmente caratterizzate da un punto di vista che sbircia dall’alto verso il basso, paziente, impassibile, un che di furtivo, tipo l’occhio di un entomologo su un terrario. Ne scaturisce una significativa riduzione - o, volendo, il parziale annullamento - ad esempio del peso semantico dei già scarni dialoghi, con metodo circoscritto alla linearità anodina di un pacato intercalare quotidiano o alla fraseologia asettica dei ruoli e delle finalità spicciole, secondo i tempi e i ritmi delle transazioni bagatellarie e materiali. Allo stesso tempo e in curiosa discordanza, le immagini si snodano con una sorta di impalpabile sbadataggine intimamente affine alla resa, come a suggerire la perfetta intercambiabilità degli istanti consumati da una realtà sempre uguale a sé stessa, capace cioè solo di riproporsi trascinandosi assorta entro le inerzie irresistibili di una enigmatica coalescenza: sottotraccia, sottopelle, indifferente, nella razionalità sfinita della logica costi-benefici a sua volta tenuta in circolo a temperatura costante dalla placenta mistico-allucinatoria del Denaro, che tutto sovrintende, preordina e giustifica. Alice, per l’appunto, si appropria dei risparmi di persone in evidente stato di minorità senza la minima remora ma pure senza palese, perverso compiacimento; le banche - qui, la potente UBS - regolano e controllano in levigata souplesse i flussi di risorse che alimentano il meccanismo mondiale della domanda e dell’offerta. Parimenti, le aziende di servizi telefonici contribuiscono allo spaccio capillare della immensa mole di merci di cui nessuno sente il bisogno eppure di cui nessuno riesce a fare a meno; l’Autorità - nel caso, la Polizia - vigila sull’ordine pubblico e ribadisce la legittimità apparente del cosiddetto Sistema ciarlando imperterrita, tra una verifica di routine e l’altra, di film d’azione passati in tv di recente, come della giungla tariffaria che avvolge in un viluppo inestricabile l’accesso alla Rete e al sottomondo dei cellulari. L’insieme, impietoso e concorde, rassegnato nell’apatia soporifera di una catastrofe (psicologica, morale, sociale: a quando quella ambientale ?) già avvenuta, con i pochi che se ne sono accorti a languire nell’emarginazione e nel dileggio, mentre si profila, sempre più netta e desolante, tra una blanda esitazione e un silenzio prolungato, l’impossibilità persino teorica di una alternativa, di un modo di vivere diverso da quello che, con la complicità di ognuno di noi, via via ha assunto le fattezze falsamente amichevoli di un destino, il destino di quelli che stanno bene.

TFK

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